Questo libro di Martin Millar è un pò quello che tutti quelli della mia generazione (nati negli anni 60/70) vorrebbero scrivere, un romanzo di formazione all'ombra della nostra rockstar preferita.
Durante l'adolescenza i suoi idoli erano i Led Zeppelin, un gruppo che ancora oggi ascoltato da una quarantenne praticamente digiuna della loro musica (ok, d'accordo, una volta strimpellavo l'intro di "Stairway to Heaven", vado matta per "Whola lotta love" e adoro il cartone animato coi gattini vichinghi di "Immigrant song", ma si può dire che li ho scoperti con questa lettura) ha il suo bel perchè. Me lo posso immaginare cosa possa essere per un adolescente ascoltare roba del genere, tutta energia, rabbia e sesso.
Infatti, nel libro non credo ci siano due pagine consecutive in cui non compaia il nome LED ZEPPELIN: come tutti gli adolescenti Martin era ossessionato dai suoi idoli e ne aveva fatto un metro di giudizio per la sua vita, che come è prevedibile non era entusiasmante, a 15 anni. Tra parentesi, se uno che era figo a scuola volesse farsi vivo e scrivere lui le sue memorie, è il benvenuto, sarebbe ora di sentire anche l'altra campana. Ma sto divagando.
Martin racconta di sè e del suo infelice amore per una bella compagna di classe, del suo migliore amico, del ragazzo più fico della scuola. Abbastanza in linea con molte cose già lette e viste (chi si ricorda "Scheggie di follia"?), ma col sottofondo perenne dei Led Zeppelin, di cui analizza le canzoni e ricorda l'effetto che ebbero (e che hanno) su di lui.
E' così forte questo sottofondo che ho dovuto smettere di leggere il libro per procurarmi i loro dischi, altrimenti non sarei riuscita a capirlo fino in fondo. Nonostante tutti i personaggi e le loro storie (passate e presenti) si sente che i veri protagonisti sono i LZ e d'altronde senza di loro un libro così probabilmente non avrebbe avuto senso. Tutto è una lunga preparazione verso l'orgasmo cosmico del loro concerto di Glasgow del 1972, un punto di svolta per tutti i personaggi coinvolti.
Niente sarà più come prima, le cose cambieranno per sempre, nel bene e nel male.
Si tratta come per "Latte Solfato e Alby Starvation" di un romanzo apparentemente semplice da scrivere e che a volte, pur non perdendo il ritmo sembra un pò trascinarsi. Ma non è così, e basta avere un minimo di tempo per farsi catturare che ci si ritrova a correre in preda alla curiosità verso il finale.
Millar mi ha portato a chiedermi come mai rimaniamo così influenzati dalla nostra adolescenza, come se si creasse un marchio indelebile, che ci impedisce di essere gli stessi di prima e che ci resta dentro anche a distanza di anni. Positivo o negativo che sia. Personalmente ricordo ancora la sensazione di panico, di terrore che mi dava l'adolescenza e anche se ora sto molto meglio non posso fare a meno di chiedermi come mai certe cose non se ne siano mai completamente andate. Ritengo sia un limite, ma piuttosto diffuso.
Mi rimane il dubbio del perchè Millar non sia ancora stato saccheggiato dall'industria cinematografica britannica, trovo che le sue storie potrebbero fare la loro figura sul grande schermo.