L’agente immobiliare è una donnona alta e robusta. Occhiali da sole giganti marca Rayban, sandali di plastica col tacco, fasciata in un vestitino di raso viola di evidente fattura cinese, fa una gran scena da lontano. Appena si avvicina ti rendi conto che faccio più figura io col mio vecchio prendisole comprato in un grande magazzino, i capelli arruffati e sudati e i Birkenstock vecchi di 4 anni.
Da queste parti è venuto Hemingway. Anzi, ci ha vissuto, proprio in queste case, quando erano ancora di proprietà di un barone suo amico, padrone di tutta la zona. Ci ha pure scritto un libro. Ma a me Hemingway non piace. Adesso ci sono io qui, insieme a Paolo, a suo fratello e alla moglie di suo fratello, per vedere una casa. Una casa nuova, una casa che potrebbe essere la nostra casa, dopo quasi dieci anni stipati insieme alle mie mille attività in un appartamento a Milano. Non avevo pensato mai di trasferirmi qui. Prima avevamo parlato di Marche, poi di Toscana, poi alto Lazio. E siamo finiti nel piatto, piattissimo, afoso Veneto. Ma Lorenzo, mio cognato, vuole trasferirsi qui e dato che fa il geometra e ama andar per case, già che cercava la sua, ha dato un’occhiata anche per noi. E ha fatto centro. Isolata, vicinissima al fiume…La posizione è ottima.
Peccato sia in Veneto, mi dico.
Fa un caldo terribile e neanche sotto l’enorme porticato si sta tanto meglio. Ma mia cognata dice di sentire molto più fresco. Mia cognata ha più di 50 anni e si esibisce in vestitini estivi che salgono ben oltre il ginocchio. Io ho appena compiuto 41 anni e mi faccio problemi a mettere gonne un po’ corte. Di tacchi alti praticamente non se ne parla, anche se ho appena comprato un paio di sandali che chiamo “i trampoli”. Chissà se li metterò mai. Ma si sa, è una questione di attitudine. Mia cognata ha l’aria di una che ne ha passate a sufficienza, anche se l’atteggiamento fisico è quello di una ragazzina un po’ sbruffona. Il colore dei suoi capelli è proprio strano, giallo con striature rosse, ma questa volta sembrano più in ordine di un mese fa, quando sparavano da tutte le parti. Lei e il fratello di Paolo stanno insieme da 20 anni, e sembra che vadano ancora d’accordo. Ieri hanno passato metà pomeriggio a massaggiarsi i piedi a vicenda mentre chiacchieravamo, una cosa imbarazzante. Mia cognata si arrampica sulla sedia da giardino e comincia a toccarsi i piedi, poi arriva suo marito e glieli massaggia. E io sono lì a guardare e penso che certe cose non le faccio mai in pubblico. Sono un tipo maledettamente per bene.
L’agente immobiliare (si chiama Leonilda) apre la porta dell’appartamento. Rimaniamo stupiti, è pieno di mobili, di cianfrusaglie, venute da chissà dove.“La proprietà ha permesso a degli amici di mettere delle cose in questi appartamenti, ma non immaginavo così tanta roba” dice Leonilda, sembra stupita ma non ha tono di scusa. C’è di tutto: cassettoni, specchi, ante d’armadio, giocattoli, un plastico di un “casone” con due barboncini di platica incollati sulla base di cartone, tricicli, una panchetta indiana di metallo che inizia e finisce con la testa di un elefante, completata da un cuscino azzurro. Mi chiedo chi cazzo possa averla comprata.
Per farsi perdonare Leonilda ci porta a vedere un altro degli appartamenti del complesso, anche quello in vendita, già abitato e con la stessa metratura. Usciamo sul vialetto e percorriamo qualche metro, entriamo da un cancelletto e ci troviamo coi piedi su una rosa dei venti fatta di minuscole piastrelle. Alla nostra sinistra un mega barbecue, alla nostra destra un finto pozzo con un’enorme sirena di pietra seduta sul bordo. Io vorrei già correre via. Invece entriamo. Nella struttura della vecchia cascina sembra che sia atterrata una tribù di alieni con i loro architetti: il divano e le sedie ricoperte in pelle sono bianchi; dal muro giallino spunta un pezzo di sasso finto, come un meteorite incastonato tra i mattoni. Il tavolo è di cristallo, come il tavolino da caffè e l’appendiabiti per i cappotti degli ospiti. Saliamo al piano superiore con una spaventosa scala senza corrimano, un vero affronto alla forza di gravità: le due camere da letto sono dipinte di rosso e blu scuro e da sopra la testata di ogni letto spunta la stessa meteorite del salotto. Miodio, miodio. Mi sento male. Usciamo, e noto che il proprietario ha fatto installare in salotto un camino hi-tech e tiene delle torce a gas per le serate con gli amici nel giardino con la sirena. Sono sorpresa che non ci siano Biancaneve e i sette nani dipinti d’argento o d’oro.
Mia cognata è il tipo che tratta il suo piccolo cane barboncino come una specie di figlio. Gli cucina il petto di pollo sulla piastra, si preoccupa perché non resti solo troppo a lungo, lo prende in braccio e dopo non si lava le mani. Un’altra cosa in cui sono molto per bene. I miei genitori mi hanno insegnato che gli animali per quanto puliti sono sporchi e per ribadire il concetto non me ne hanno mai preso uno. Salvo perdere la testa per un gatto poco prima che me ne andassi di casa.
Quando sono stata in Inghilterra ho conosciuto una donna che non solo prendeva in braccio il cane durante i pasti, gli faceva leccare il piatto quando aveva finito di mangiare. Uno schifo. Ai miei non l’ho mai raccontato. Ci dormiva col cane, quella lì. Dopo quello pensavo che sarei stata più malleabile con le misure igeniche.
La moglie del fratello di Paolo si accende una sigaretta. Mi sento male, penso di stare male. Dio uccidimi, ti prego uccidimi. Non credo in te, non credo nella tua bontà, ma se esisti uccidimi, non farmi affrontare il domani. Non farmi affrontare anche questo. Non farmi affrontare il resto della vita in mezzo a tutto questo. A queste persone. Lo so che sono buone, lo so che sono una stronza snob, ma non mi somigliano. Uccidimi ti prego, ora. Non mi ricordo più quando è stata l’ultima volta che ho fatto qualcosa per me e solo per me. Forse è stato quando mi sono licenziata dalla banca. E’ passato un mucchio di tempo. Potrei sparire. Potrei non farmi più vedere.
Ieri Paolo ha detto che quest’anno i turisti tedeschi saranno in aumento del 15 percento a causa della crisi. Tre volte in due ore. Alle stesse persone. Ha ripetuto storie dell’ufficio che ho ascoltato per la 500esima volta. Ormai so prevedere cosa dirà, come lo dirà. Mi sento male.
Saliamo in macchina, facciamo un giro nei dintorni della casa. Ci sono solo campi. Mia cognata è seduta dietro con me. Toglie i piedi dalle ciabatte di gomma e li appoggia dietro al sedile di Paolo. E ricomincia a toccarseli. Penso che dobbiamo mangiare a casa loro. Chissà se si laverà le mani prima di cucinare.