La scorsa settimana sono andata a vedere la mostra di Edward Hopper a Milano.
Hopper è il pittore che meglio ha saputo cogliere l'America: le sue tele non possono essere che Americane, le case, gli ambienti, i suoi personaggi e la malinconia che emanano, tutto ci riporta ai libri che abbiamo letto, alla musica che abbiamo ascoltato, a quel sogno che al di qua dell'oceano ancora ci affascina.
Quando per tanti anni si attende una mostra monografica di un pittore tanto noto, il rischio è di rimanere delusi. Ci si aspetta di vedere tutti i quadri più famosi, quelli di cui abbiamo comprato tante cartoline o che abbiamo sfogliato sui libri di storia dell'arte. Quasi sempre non è così. Magari uno dei pezzi forti della produzione del nostro eroe verrà esposto, finirà sui cartelloni pubblicitari e costituirà il clou dell'esposizione, ma gran parte della mostra sarà costituito da materiale di seconda scelta e di poco valore artistico.
La mostra di Hopper non contiene che due o tre quadri importanti o quanto meno molto conosciuti. Ci sono però moltissimi schizzi, acquarelli, studi. C'è un'installazione in cui viene ricostruito l'interno di uno dei quadri di Hopper ed è possibile entrarci e vedersi in uno schermo, come se noi fossimo nel quadro.
E non è fuffa, è materiale buono ordinato secondo uno schema preciso, non buttato lì alla bell'e meglio.
Dunque diciamo che la mostra di Edward Hopper può deludere fortemente chi, abbagliato da una campagna pubblicitaria un pò ruffiana, si sia illuso di vederci quadri come il celeberrimo "Nighthawks" e chi alle mostre ci va tanto per dire che c'è stato (ahimè, c'è anche questa moda ultimamente, vedi le grandi mostre di Brescia e Mantova degli scorsi anni). Coloro invece che hanno un genuino interesse per il pittore e la pittura e per la genesi di un quadro, saranno solo in parte delusi, e sapranno cogliere il buono di quest'esposizione che -comunque- è stata pubblicizzata in modo furbo.
Nella foto "New York Movie" di Edward Hopper, 1939