lunedì 5 novembre 2012

The End is near enough

Ancora una volta uso questo spazio per lagnarmi del mio lavoro. Qualche anno fa, quando operavo in un istituto professionale mi lamentavo della mancanza di considerazione per il ragazzo sordo di cui mi occupavo, dei pregiudizi rispetto al suo handicap, del pessimo trattamento personale ed economico riservato a me.
Oggi, con un'esperienza ormai consolidata di assistente alla comunicazione, la mia visione è ancora più cupa e disfattista.
Quando mi avvicinai a questa professione (possiamo chiamarla tale?) ero piena di convinzioni idealiste, pensavo -speravo- che se avessi fatto bene il mio lavoro qualcosa si sarebbe mosso nel cosmo e tutti i problemi si sarebbero risolti, non solo per me ma anche per i sordi.
Sognando un'occupazione giustamente retribuita, un riconoscimento pubblico dell'importanza di quest'attività e un gruppo di lavoro appassionato che volesse veramente l'integrazione totale dei sordi, mi sono iscritta all'università ed ho frequentato decine di corsi disponibili sul territorio.
Purtroppo l'unico risultato al quale sono pervenuta è l'amarissima consapevolezza che mi ero ingannata, che sono proprio l'ultima fessa a credere in certe cose e che alla fine sono tutti sleali e decisamente impermeabili all'obiettivo di una società più giusta ed accogliente.

I motivi che mi hanno portato a questa conclusione sono molti. Se avrete la pazienza di proseguire la lettura li scoprirete.
Premetto che la mia esperienza è relativa al nord Italia, e all'area milanese. Il mondo dei sordi Italiani però è talmente piccolo e raccolto che alla fine girano sempre le stesse facce in determinati territori.
Dunque, la LIS (Lingua Italiana dei Segni) attira moltissime persone udenti che annualmente frequentano i corsi dell'ENS. Parte di queste persone cominciano a desiderare di continuare a praticare la lingua oltre il corso: qui scatta la trappola, perchè a scuola i ragazzi sordi segnanti hanno bisogno di un tramite linguistico che permetta loro di seguire le lezioni, l'assistente alla comunicazione, una persona che conosce la LIS ed è disposta a lavorare per pochi soldi. UAO, pensano le sventurate, lavorare coi sordi, continuare a segnare ed essere pure pagate! E si buttano a capofitto. Poi scoprono quanto segue:
1) L'assistente alla comunicazione, pur prevista dalla legge 104/92 De Facto non esiste. Nessuno sa esattamente cosa faccia, finchè non si mette a farlo, e a volte anche dopo. Questo è il primo anno in cui la Provincia di Milano ha previsto un contratto e se lo fate attraverso un CAF, questo contratto rientra nella categoria "collaboratrici domestiche"; alcune colleghe sono state contrattualizzate con livello B1, cioè quello delle bidelle. Questo crea confusione sul ruolo e sulle competenze, che vengono letteralmente acquisite sul campo esponendo i ragazzi sordi all'entusiasmo ma anche agli errori che una giovane assistente pur con tutto il suo impegno può fare. Non esistono nel territorio milanese corsi di formazione professionale seri (a Roma c'è addirittura un MASTER!) e comunque le assistenti sono manodopera a bassissimo costo, prendono meno di una donna delle pulizie, pur avendo una specializzazione (la conoscenza della LIS) ed essendo spesso laureate o comunque diplomate. Non ci sono scatti di carriera nè aumenti di stipendio, non c'è malattia nè maternità.
2) Mettete di fregarvene dei pochi soldi e delle difficoltà continue, mettete di voler migliorare la vostra professionalità, dovete cercarvi dei corsi di approfondimento delle tematiche della sordità. In una città come Milano ne potrete trovare diversi ma sono quasi tutti tenuti da associazioni e scuole private che vengono finanziate dalla provincia o dalla regione. Può andarvi bene, può andarvi male, ma dopo qualche tempo, se state attente, capirete che si ripetono sempre le stesse cose, che i docenti sono sempre gli stessi e che si cerca sempre di evitare il punto dolente dei corsi per interprete.
3) Sì, perchè se volete lavorare con i sordi sembra che ci siano solo due strade: o fare le schiave come assistenti alla comunicazione, assumendovi l'onere di mettere una pezza all'incompleta attuazione delle leggi sull'integrazione scolastica, oppure cercare di entrare nell'Olimpo delle interpreti LIS, una casta autoprotetta cui accedere è difficilissimo. Perchè? Perchè non c'è formazione! I sordi segnanti non sono abbastanza per tutti e se ci dovesse essere un corso che si ripete costantemente, in breve ci sarebbero troppe interpreti a spartirsi il mercato. A Milano l'ultima formazione si è conclusa circa tre anni fa e quella precendente era stata dodici anni prima. Il corso più vicino è in questo momento a Biella, in Piemonte. A Roma però il corso si fa ogni due anni. All'Università di Venezia invece sparano altissimo: hanno indetto un Master in traduzione in LIS a cui puoi accedere solo dopo la laurea. Si tende dunque a dare un'infarinatura minima di LIS alle interessate, allontanando da loro sempre di più l'obiettivo principe (diventare interprete) e lasciandole a disposizione del mercato di schiave, unica loro possibilità per lavorare coi sordi.
4)Essendo la LIS una lingua dei segni giovane e AHIME' non ancora riconosciuta ufficialmente (e questo per una serie di interessi politici ed economici di bassa lega), nonostante ci siano molti studiosi e linguisti italiani seri e noti all'estero, l'ambiente è fondamentalmente provinciale ed autoreferenziale. Ci sono dunque pochi "specialisti" che sono o si credono tali perchè (udenti) figli di sordi o perchè si sono trovati ad interessarsi della LIS in un periodo in cui nessuno ne sapeva nulla, quindi preparati (e ce ne sono) o no (e ce ne sono), hanno un nome. Queste persone costituiscono piccole enclave (di cui purtroppo anche i sordi fanno parte), che cercano di primeggiare le une sulle altre, sostenendo teorie più o meno corrette e mantenendo la poca conoscenza a disposizione dei loro adepti. Il risultato è che moltissimi di quelli che lavorano ad un certo livello con le persone sorde si odiano tra loro, non solo perchè non condividono le teorie altrui, ma perchè vedono nell'altro un concorrente con cui spartire i sordi disponibili.  Tutto ciò non giova, non solo ai diretti interessati, ma anche al progresso delle teorie didattiche. Tanto per dirne una, in Italia c'è ancora una divisione tra sordi segnanti e sordi oralisti, tra sordi con l'apparecchio e sordi con l'impianto cocleare. All'estero (negli Stati Uniti ad esempio) i sordi portano l'impianto cocleare e segnano, non ci sono contrapposizioni che sanno di faida. Non è un caso che noi si sappia sempre così poco di ciò che fanno all'estero, solo lasciandoci tutti nell'ignoranza i vari partiti (coclearisti, pro-LIS, oralisti etc.) possono continuare a spartirsi la torta, frammentando sempre di più l'offerta e tentando di accaparrarsi più sordi possibile. E anche se la sordità è un handicap complesso ed ogni individuo non è uguale all'altro, non è possibile che nel 2012 i genitori di bambini sordi debbano essere ancora prede dei vari opportunismi e non esista un protocollo d'azione per garantire uno sviluppo intellettuale e sociale armonico ai ragazzi sordi. Vedendo la piega che stanno prendendo le cose, e potendo prevedere che nel lungo periodo, vista la nazione stolta che siamo, si andrà verso una sempre maggiore medicalizzazione del sordo (leggi impianti cocleari), tutte queste ridicole divisioni sembrano ancora più patetiche: il Titanic della cultura e della lingua sorda affonda, ma c'è qualcuno che continua a  litigare sulla rotta da prendere.
5) A proposito di quest'ultimo punto devo infine dire che al di là di tutte queste cose deprimenti, forse la più deprimente di tutte è la mancanza di considerazione per ciò che un sordo può volere. Gli udenti pensano sempre di scegliere per lui, di scegliere il meglio, soprattutto quand'è un bambino. Allora questa scelta va sempre in funzione della presunta normalità a cui il bambino potrebbe aspirare ma che sicuramente il genitore desidera. Io di figli non ne ho, quindi probabilmente non posso capire la sofferenza di un genitore di bambino con handicap, ma credo che la cosa migliore che questi possa fare sia formire il suo piccolo di tutti gli strumenti a disposizione, lasciando che sia lui, crescendo, a decidere come vuole usarli e cosa vuole tenere. Certo, questo rappresenta una fatica, perchè il genitore è costretto ad essere più consapevole e fisicamente più partecipe, ed inoltre questa visione esclude scelte come l'impianto cocleare, che è -onestamente- l'unica cosa che non riesco ad accettare, perchè mi dà l'idea di una "riparazione". Il sordo non è guasto, è diverso, e la sua diversità è per me una ricchezza che mi costringe a vedere il mondo in modo diverso e più flessibile, facendo attenzione a cose diverse.

Ma come ho detto all'inizio, sono l'unica fessa a credere ancora a queste cose.