Da ormai quattro anni orbito attorno al pianeta disabilità, e registro, a volte con divertimento, a volte con frustrazione, le reazioni dei cosiddetti "normodotati" quando si parla o si viene in contatto con questo mondo. Alla vigilia delle mie meritatissime vacanze, ho deciso di condividere alcune osservazioni personali...
1. I disabili non sono disabili
L'atteggiamento della società italiana è quello pensare ai disabili come povere creature inerti che vanno guidate per raggiungere obiettivi minimi nella scuola ed accontentarsi di qualche semplice occupazione (fotocopie, lavoretti di artigianato) una volta cresciuti.
Ecco, la verità per come l'ho sperimentata io è che i disabili non sono mai troppo disabili, e spesso raggiungono risultati scolastici pari se non superiori ai loro compagni. Questi capita che non capiscano gli argomenti e le spiegazioni, ma si guardano bene dal renderlo noto, e siccome non hanno diagnosi a giustificare la non comprensione, vengono bollati come pigroni.
La conseguenza è che per raggiungere un striminzito 6 spesso il disabile deve produrre prove molto più complesse di quelle che sono destinate al normodotato.
Oppure gli si dà la sufficienza gratis, ma solo quella, indipendentemente dal fatto che meriti di più in base all'impegno ed al risultato personale raggiunto.
Tutto il sistema è troppo rigido e nozionistico, e non tiene presente delle reali doti e qualità di ogni singolo allievo. Il merito sta nel rispondere a delle domande in modo corretto. Tutto lì.
Tanto è vero che una ragazza che seguo passa brillantemente le prove scolastiche imparando a memoria interi brani dagli appunti che le rielabora l'insegnante di sostegno, ma senza capire cosa ha memorizzato. Le sue doti personali non vengono valorizzate, la scuola è un quiz a premi. I "disabili" ed i "normodotati" hanno bisogno di un sistema che li aiuti a sviluppare le loro capacità individuali.
2. La disabilità appassiona
Un mio amico presentandomi ad una sua conoscente ha detto una volta: "Lei fa un lavoro molto meritevole, perchè segue i disabili". I complimenti fanno piacere, ma francamente li ho trovati immeritati. Perchè se è vero che questo lavoro m'è arrivato per caso, poi mi ci sono appassionata, e non solo al mio campo specifico (la sordità), ma anche agli altri, l'autismo, la sindrome di Tourette etc. Quello che mi affascina non è solo il meccanismo della patologia, ma soprattutto il modo d'interpretare il mondo che hanno coloro che vivono con noi ma non come noi. E appena mi è possibile cerco di migliorare la mia conoscenza in proposito, leggo libri, vado a convegni e corsi. La differenza c'è e non c'è niente di male. Ciò che è male è trattare con condiscendenza queste persone, dando per scontato che non abbiano niente da dare e tutto da prendere. Al contrario, la consapevolezza della propria diversità e delle proprie potenzialità aiutano i "disabili" a diventare autonomi e raggiungere i traguardi che tutti hanno nella vita e che per troppo tempo il piagnisteo e la pietà a poco prezzo gli hanno negato.
La disabilità non è una vergogna, e non deve esserlo.
3. I disabili, un buon affare
Da anni si tagliano i contributi alle politiche per i disabili, con grandissimi disagi per questi ultimi e le loro famiglie. Eppure, gli sprechi vengono dal cuore del sistema, appaltato alle cooperative sociali che non garantiscono il rispetto delle regole (gli appalti alla fine arrivano spesso ai soliti noti, meglio se politicamente ammanicati) e sono un passaggio in più, un costo in più. Le cooperative -alcune cooperative- prosperano con i contributi statali, ma applicano principi economici di profitto che sono in totale conflitto con le loro cosiddette "mission".
C'è poi il sistema dei contributi (ad esempio le indennità di comunicazione per i disabili sensoriali) che rappresenta un modo per lo Stato di lavarsi le mani della questione dei servizi e mettere a tacere i sensi di colpa per la mancata integrazione nel mondo della scuola e del lavoro.
Invece di creare servizi pubblici che funzionano per tutti ed impiegano personale a tempo indeterminato, si preferisce erogare pro capite delle cifre miserrime che certamente non bastano ad usufruire di quegli stessi servizi che vengono erogati da privati, e mettersi così a posto la coscienza: non lavori, ma guarda che bello, ti paghiamo. Che poi non ci si lamenti dei "disabili" che hanno un brutto carattere, anche voi non sareste proprio contenti di essere pagati perchè vi si ritiene inutili ed incapaci di lavorare.
Penso che questa mancata integrazione lavorativa rappresenti anche una perdita in senso economico per il paese, che si priva di forza lavoro.
1 commento:
Gran bella analisi
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