PROLOGO 1:
Titta: - Va bene,dài. Vengo
Cosmic: - Wow, grande!
Titta: -Però guarda che non pogo, eh?
Cosmic: - Pogare? Ad un concerto di Mellencamp?!?
Cosmic: - Wow, grande!
Titta: -Però guarda che non pogo, eh?
Cosmic: - Pogare? Ad un concerto di Mellencamp?!?
PROLOGO 2:
C’era gente che aspettava da una vita che John Cougar Mellencamp facesse tappa in Italia con un tour. Perché non sia venuto prima non è molto chiaro (girano versioni diverse al limite della leggenda urbana) e forse si è deciso fuori tempo massimo a fare il grande passo. Non perché sia diventato troppo vecchio, ma perché a un musicista come lui avrebbe certamente giovato frequentare la nostra penisola negli anni 80, quando Springsteen imperversava e gente anche meno talentuosa ebbe il suo momento. Scelte.
Si parte da Milano alle 18 con la sicumera di Cosmic:
– Tranqui, la so bene la strada.
Si continua con gli epiteti borbottati alla terza tangenziale sbagliata.
Si finisce con imbroccare la strada statale giusta (dopo aver sbagliato l’uscita più facile della storia della topografia), alle 19:30. Da lì giungiamo sull’obiettivo in appena 30 minuti.
All’interno del cortile del Castello Sforzesco, luogo centrale ma contenuto, adatto a concerti tranquilli, l’atmosfera è rilassata. L’età media è piuttosto alta, non si vedono spettatori sotto i 35 anni, nessuno si accalca alle transenne sottopalco alla ricerca del posto migliore, la fila per il panino alla salamella echeggia dei soliti discorsi sul miglior concerto mai visto nella propria vita, sull’esecuzione memorabile di questo o quel pezzo, sui prossimi incontri a qualche altro festival, su esperienze da festival allucinanti (vince a mani basse l’organizzazione del Rock in Idrho) raccontate con fare da reduci e bullerie del genere.
Scegliamo due hamburger “completi” e individuiamo una panca tranquilla (senza tavolo, che erano tutti occupati) per appoggiare le nostre pigre chiappe e consumare il panozzo, congruo compromesso tra il famoso fast-food, brand americano, e l’attenzione italiana ai panini, tenendo il bicchiere di birra tra le cosce (per ovviare al rischio riscaldamento cerchiamo di bere in fretta).
La postazione è favorevole per ammirare le t-shirt che passano di lì. Ne girano di strepitose, Silver Surfer, Jerry Garcia Band, Flogging Molly, Bob Dylan, John Spencer Blues Explosion, Gaslight Anthem e perfino una di Hank III. Cosmic nel vederla è combattuto tra l’invidia (era certo di vincere la t-shirt contest con la sua verde dei Pogues) e la commozione (un altro fan di Hank Williams III!!! Non se ne vedono spesso…).
Cosmic osa sfidare il cesso chimico, Titta pavidamente rinuncia. Scopriamo con sconcerto che le postazioni di beveraggio non hanno la macchinetta del caffè. Orrore.
Si gira ancora un po’ per gli stand (miserelli per la verità), con una fermata stranamente breve a quello dei dischi: la crisi attanaglia persino il portafogli degli inossidabili dinosauri musicali.
Verso le 20.30 finalmente prendiamo possesso del prato: prima del concerto è prevista la proiezione di It’s about you, un film sulla lavorazione dell’ultimo album di Mellencamp,“No better than this”. Questa scelta ci è subito parsa curiosa come apertura di un concerto, ma dato il tema pensavamo sarebbe stato comunque interessante. Invece ci siamo trovati di fronte ad un documentario autocelebrativo in stile on the road, girato tutto in super 8 con inquadrature finto casuale, modi da videoclip degli anni 90 e un voiceover in americano senza sottotitoli (grazie mille da parte di chi non sa l'Inglese). Non solo.
Con l'occhio degli espertoni potremmo dire che si voleva imitare il “Don't look back” di D.A. Pennybaker,(che raccontava la tourneè inglese di Bob Dylan nel 1965 e lì alcune inquadrature erano veramente casuali) con risultati deludenti. Come spettatori abbiamo trovato il racconto poco interessante e di uno stile superato. Senza contare che si mostravano spezzoni di concerti nei quali sono anticipate le versioni rivedute di alcuni classici che saranno poi regolarmente suonate (“Smalltown” acustica, “Cumblin’ down”…). Francamente incomprensibile.
Ad ogni modo, la visione del film ha avviato un intenso dibattito dagli elevati contenuti culturali:
- Cavolo, però c'ha ancora un sacco di capelli Mellencamp
- Ma sai che stavo per dire lo stesso? Non come il Boss che ha fatto il trapianto
- EEEH???! Veramente? Cavolo, che scoperta. Da Springsteen non me l'aspettavo...
- Eh sì, che ci vuoi fare…
Il film continua, e continua, e continua.
L'insofferenza del pur paziente pubblico si fa palpabile. Dissolvenza...dai che è finito...NOOOO! Ricomincia!
Ora piovono fischi.
E' ormai buio quando finalmente partono i titoli di coda, che vengono trasmessi integralmente, ora sappiamo perfino chi ha portato i panini alla troupe.
Siamo seriamente preoccupati che ora sia il turno del cineforum…
Per fortuna arrivano i roadies a smontare lo schermo (non senza qualche difficoltà…) e ci scappa qualche altro interminabile minuto di ritardo per gli ultimi ritocchi al soundcheck (!??!?). Allucinante.
Sono quasi le 22:30 quando FINALMENTE comincia la musica. Apre “Authority Song” che ha un ritornello facile facile che Mellencamp lascia cantare al pubblico. Titta si unisce al coro, anche grazie a Cosmic che fa da gobbo.
La band è davvero notevole. Spicca il chitarrista, bravissimo. Grande importanza hanno anche le esecuzioni della violinista, che hanno uno spazio sempre significativo negli arrangiamenti.
Nonostante un cretino col cappello a falde larghe continui a fare foto con un flash che fungerebbe perfettamente come faro marittimo, ce la stiamo godendo.
Inizia poi una lunga sessione acustica durante la quale Titta, nonostante l’ignoranza Mellencampiana riconosce alcuni brani ascoltati per radio o televisione, tra cui “Small town”, che forse sarebbe stato meglio lasciare elettrica (su questo con Cosmic si concorda) e una toccante “Longest days”.
Poi si ritorna all'elettricità e gli ultimi brani sono entusiasmanti, fino al finale, durante il quale Mellencamp trascina sul palco dal pubblico un ragazzino (incredibile, un ventenne!) e canta insieme a lui. Divertente, l'unico momento di calore verso il pubblico. Dopodichè John ringrazia e se ne va. Ci aspettavamo un paio di bis, invece i roadies iniziano immediatamente ad impacchettare gli strumenti, togliendoci ogni speranza.
Questa mossa lascia tutti sbigottiti e delusi. Cosmic è senza parole:
- Ma come…
- E “Hurt so good”?!?
- E “Human wheels”?!?
- E “Paper in fire”?!?
- E “Wild night”?!?
- E...
- Coraggio Cosmic, non aggrapparti alla transenna, vieni via.
- Ma no, aspetta…E “Key west intermezzo”?!?
– Tranqui, la so bene la strada.
Si continua con gli epiteti borbottati alla terza tangenziale sbagliata.
Si finisce con imbroccare la strada statale giusta (dopo aver sbagliato l’uscita più facile della storia della topografia), alle 19:30. Da lì giungiamo sull’obiettivo in appena 30 minuti.
All’interno del cortile del Castello Sforzesco, luogo centrale ma contenuto, adatto a concerti tranquilli, l’atmosfera è rilassata. L’età media è piuttosto alta, non si vedono spettatori sotto i 35 anni, nessuno si accalca alle transenne sottopalco alla ricerca del posto migliore, la fila per il panino alla salamella echeggia dei soliti discorsi sul miglior concerto mai visto nella propria vita, sull’esecuzione memorabile di questo o quel pezzo, sui prossimi incontri a qualche altro festival, su esperienze da festival allucinanti (vince a mani basse l’organizzazione del Rock in Idrho) raccontate con fare da reduci e bullerie del genere.
Scegliamo due hamburger “completi” e individuiamo una panca tranquilla (senza tavolo, che erano tutti occupati) per appoggiare le nostre pigre chiappe e consumare il panozzo, congruo compromesso tra il famoso fast-food, brand americano, e l’attenzione italiana ai panini, tenendo il bicchiere di birra tra le cosce (per ovviare al rischio riscaldamento cerchiamo di bere in fretta).
La postazione è favorevole per ammirare le t-shirt che passano di lì. Ne girano di strepitose, Silver Surfer, Jerry Garcia Band, Flogging Molly, Bob Dylan, John Spencer Blues Explosion, Gaslight Anthem e perfino una di Hank III. Cosmic nel vederla è combattuto tra l’invidia (era certo di vincere la t-shirt contest con la sua verde dei Pogues) e la commozione (un altro fan di Hank Williams III!!! Non se ne vedono spesso…).
Cosmic osa sfidare il cesso chimico, Titta pavidamente rinuncia. Scopriamo con sconcerto che le postazioni di beveraggio non hanno la macchinetta del caffè. Orrore.
Si gira ancora un po’ per gli stand (miserelli per la verità), con una fermata stranamente breve a quello dei dischi: la crisi attanaglia persino il portafogli degli inossidabili dinosauri musicali.
Verso le 20.30 finalmente prendiamo possesso del prato: prima del concerto è prevista la proiezione di It’s about you, un film sulla lavorazione dell’ultimo album di Mellencamp,“No better than this”. Questa scelta ci è subito parsa curiosa come apertura di un concerto, ma dato il tema pensavamo sarebbe stato comunque interessante. Invece ci siamo trovati di fronte ad un documentario autocelebrativo in stile on the road, girato tutto in super 8 con inquadrature finto casuale, modi da videoclip degli anni 90 e un voiceover in americano senza sottotitoli (grazie mille da parte di chi non sa l'Inglese). Non solo.
Con l'occhio degli espertoni potremmo dire che si voleva imitare il “Don't look back” di D.A. Pennybaker,(che raccontava la tourneè inglese di Bob Dylan nel 1965 e lì alcune inquadrature erano veramente casuali) con risultati deludenti. Come spettatori abbiamo trovato il racconto poco interessante e di uno stile superato. Senza contare che si mostravano spezzoni di concerti nei quali sono anticipate le versioni rivedute di alcuni classici che saranno poi regolarmente suonate (“Smalltown” acustica, “Cumblin’ down”…). Francamente incomprensibile.
Ad ogni modo, la visione del film ha avviato un intenso dibattito dagli elevati contenuti culturali:
- Cavolo, però c'ha ancora un sacco di capelli Mellencamp
- Ma sai che stavo per dire lo stesso? Non come il Boss che ha fatto il trapianto
- EEEH???! Veramente? Cavolo, che scoperta. Da Springsteen non me l'aspettavo...
- Eh sì, che ci vuoi fare…
Il film continua, e continua, e continua.
L'insofferenza del pur paziente pubblico si fa palpabile. Dissolvenza...dai che è finito...NOOOO! Ricomincia!
Ora piovono fischi.
E' ormai buio quando finalmente partono i titoli di coda, che vengono trasmessi integralmente, ora sappiamo perfino chi ha portato i panini alla troupe.
Siamo seriamente preoccupati che ora sia il turno del cineforum…
Per fortuna arrivano i roadies a smontare lo schermo (non senza qualche difficoltà…) e ci scappa qualche altro interminabile minuto di ritardo per gli ultimi ritocchi al soundcheck (!??!?). Allucinante.
Sono quasi le 22:30 quando FINALMENTE comincia la musica. Apre “Authority Song” che ha un ritornello facile facile che Mellencamp lascia cantare al pubblico. Titta si unisce al coro, anche grazie a Cosmic che fa da gobbo.
La band è davvero notevole. Spicca il chitarrista, bravissimo. Grande importanza hanno anche le esecuzioni della violinista, che hanno uno spazio sempre significativo negli arrangiamenti.
Nonostante un cretino col cappello a falde larghe continui a fare foto con un flash che fungerebbe perfettamente come faro marittimo, ce la stiamo godendo.
Inizia poi una lunga sessione acustica durante la quale Titta, nonostante l’ignoranza Mellencampiana riconosce alcuni brani ascoltati per radio o televisione, tra cui “Small town”, che forse sarebbe stato meglio lasciare elettrica (su questo con Cosmic si concorda) e una toccante “Longest days”.
Poi si ritorna all'elettricità e gli ultimi brani sono entusiasmanti, fino al finale, durante il quale Mellencamp trascina sul palco dal pubblico un ragazzino (incredibile, un ventenne!) e canta insieme a lui. Divertente, l'unico momento di calore verso il pubblico. Dopodichè John ringrazia e se ne va. Ci aspettavamo un paio di bis, invece i roadies iniziano immediatamente ad impacchettare gli strumenti, togliendoci ogni speranza.
Questa mossa lascia tutti sbigottiti e delusi. Cosmic è senza parole:
- Ma come…
- E “Hurt so good”?!?
- E “Human wheels”?!?
- E “Paper in fire”?!?
- E “Wild night”?!?
- E...
- Coraggio Cosmic, non aggrapparti alla transenna, vieni via.
- Ma no, aspetta…E “Key west intermezzo”?!?
EPILOGO
C'è un limite oltre il quale l'atteggiamento scorbutico della star diventa quasi disprezzo, e il nostro John a farci star male c'è riuscito piuttosto bene. Nonostante la bravura della band e la bellezza dello spettacolo, se ne esce con la sensazione di essere stati un po' presi in giro, di aver assistito ad un'esibizione preconfezionata, fresca come la Coca cola quando sei assetato o gustosa come il Big Mac quando sei assalito dalla fame chimica, ma sempre uguale dovunque andrà. Se ci andrà…
C'è un limite oltre il quale l'atteggiamento scorbutico della star diventa quasi disprezzo, e il nostro John a farci star male c'è riuscito piuttosto bene. Nonostante la bravura della band e la bellezza dello spettacolo, se ne esce con la sensazione di essere stati un po' presi in giro, di aver assistito ad un'esibizione preconfezionata, fresca come la Coca cola quando sei assetato o gustosa come il Big Mac quando sei assalito dalla fame chimica, ma sempre uguale dovunque andrà. Se ci andrà…
2 commenti:
Noi però siamo sempre dei fighi...
Dè, no?
Posta un commento