giovedì 26 aprile 2018
martedì 6 febbraio 2018
Of gloves and saliva
lunedì 15 gennaio 2018
Cronaca vera
martedì 24 dicembre 2013
venerdì 11 ottobre 2013
Domande
Suona il telefono. Rispondo:
"Buongiorno Signora, le parlo a nome della ditta Pincopallino. Lei usa creme naturali? Quali marche predilige?"
Due:
Mentre rientro a casa un giovane dall'accento straniero, con un vestito grigio e una targhetta col nome attaccata al taschino mi si avvicina:
"Buonasera Signora, lei crede che questa esistenza abbia un senso?"
Ma dico, come vi permettete di rivolgermi domande personali così, senza neanche esserci presentati?
mercoledì 2 ottobre 2013
Chartz (#1)
mercoledì 25 settembre 2013
venerdì 20 settembre 2013
Bug's season
mercoledì 18 settembre 2013
I'm so anxious
lunedì 31 dicembre 2012
Bye Bye 2012
Però è stato duro, veramente duro. Nel 2012 ho abbandonato definitivamente illusioni che mi trascinavo dietro come degli ingombranti portafortuna da tantissimi anni, sulle persone, sul mio futuro. Mi sembra di aver lavorato per anni senza senso, di essere stata una stupida per un tempo infinito. Ora sono sveglia, e non mi aspetto che la mia vita cambi in qualcosa di fichissimo. Forse mi sono rassegnata. Suonerà melodrammatico, ma credo si adatti a come mi sento, non male ma neanche bene. Da una parte questa disillusione mi fa sentire meglio, non più speranze, anzi una sana diffidenza che ammanta tutto. Dall'altra mi sono ben presenti i motivi per cui sono arrivata a questa conclusione.
Così, addio 2012, non so se devo esserti grata o meno per questa consapevolezza, ma tra poche ore non sarà più un tuo problema.
lunedì 5 novembre 2012
The End is near enough
Oggi, con un'esperienza ormai consolidata di assistente alla comunicazione, la mia visione è ancora più cupa e disfattista.
Quando mi avvicinai a questa professione (possiamo chiamarla tale?) ero piena di convinzioni idealiste, pensavo -speravo- che se avessi fatto bene il mio lavoro qualcosa si sarebbe mosso nel cosmo e tutti i problemi si sarebbero risolti, non solo per me ma anche per i sordi.
Sognando un'occupazione giustamente retribuita, un riconoscimento pubblico dell'importanza di quest'attività e un gruppo di lavoro appassionato che volesse veramente l'integrazione totale dei sordi, mi sono iscritta all'università ed ho frequentato decine di corsi disponibili sul territorio.
Purtroppo l'unico risultato al quale sono pervenuta è l'amarissima consapevolezza che mi ero ingannata, che sono proprio l'ultima fessa a credere in certe cose e che alla fine sono tutti sleali e decisamente impermeabili all'obiettivo di una società più giusta ed accogliente.
I motivi che mi hanno portato a questa conclusione sono molti. Se avrete la pazienza di proseguire la lettura li scoprirete.
Premetto che la mia esperienza è relativa al nord Italia, e all'area milanese. Il mondo dei sordi Italiani però è talmente piccolo e raccolto che alla fine girano sempre le stesse facce in determinati territori.
Dunque, la LIS (Lingua Italiana dei Segni) attira moltissime persone udenti che annualmente frequentano i corsi dell'ENS. Parte di queste persone cominciano a desiderare di continuare a praticare la lingua oltre il corso: qui scatta la trappola, perchè a scuola i ragazzi sordi segnanti hanno bisogno di un tramite linguistico che permetta loro di seguire le lezioni, l'assistente alla comunicazione, una persona che conosce la LIS ed è disposta a lavorare per pochi soldi. UAO, pensano le sventurate, lavorare coi sordi, continuare a segnare ed essere pure pagate! E si buttano a capofitto. Poi scoprono quanto segue:
1) L'assistente alla comunicazione, pur prevista dalla legge 104/92 De Facto non esiste. Nessuno sa esattamente cosa faccia, finchè non si mette a farlo, e a volte anche dopo. Questo è il primo anno in cui la Provincia di Milano ha previsto un contratto e se lo fate attraverso un CAF, questo contratto rientra nella categoria "collaboratrici domestiche"; alcune colleghe sono state contrattualizzate con livello B1, cioè quello delle bidelle. Questo crea confusione sul ruolo e sulle competenze, che vengono letteralmente acquisite sul campo esponendo i ragazzi sordi all'entusiasmo ma anche agli errori che una giovane assistente pur con tutto il suo impegno può fare. Non esistono nel territorio milanese corsi di formazione professionale seri (a Roma c'è addirittura un MASTER!) e comunque le assistenti sono manodopera a bassissimo costo, prendono meno di una donna delle pulizie, pur avendo una specializzazione (la conoscenza della LIS) ed essendo spesso laureate o comunque diplomate. Non ci sono scatti di carriera nè aumenti di stipendio, non c'è malattia nè maternità.
2) Mettete di fregarvene dei pochi soldi e delle difficoltà continue, mettete di voler migliorare la vostra professionalità, dovete cercarvi dei corsi di approfondimento delle tematiche della sordità. In una città come Milano ne potrete trovare diversi ma sono quasi tutti tenuti da associazioni e scuole private che vengono finanziate dalla provincia o dalla regione. Può andarvi bene, può andarvi male, ma dopo qualche tempo, se state attente, capirete che si ripetono sempre le stesse cose, che i docenti sono sempre gli stessi e che si cerca sempre di evitare il punto dolente dei corsi per interprete.
3) Sì, perchè se volete lavorare con i sordi sembra che ci siano solo due strade: o fare le schiave come assistenti alla comunicazione, assumendovi l'onere di mettere una pezza all'incompleta attuazione delle leggi sull'integrazione scolastica, oppure cercare di entrare nell'Olimpo delle interpreti LIS, una casta autoprotetta cui accedere è difficilissimo. Perchè? Perchè non c'è formazione! I sordi segnanti non sono abbastanza per tutti e se ci dovesse essere un corso che si ripete costantemente, in breve ci sarebbero troppe interpreti a spartirsi il mercato. A Milano l'ultima formazione si è conclusa circa tre anni fa e quella precendente era stata dodici anni prima. Il corso più vicino è in questo momento a Biella, in Piemonte. A Roma però il corso si fa ogni due anni. All'Università di Venezia invece sparano altissimo: hanno indetto un Master in traduzione in LIS a cui puoi accedere solo dopo la laurea. Si tende dunque a dare un'infarinatura minima di LIS alle interessate, allontanando da loro sempre di più l'obiettivo principe (diventare interprete) e lasciandole a disposizione del mercato di schiave, unica loro possibilità per lavorare coi sordi.
4)Essendo la LIS una lingua dei segni giovane e AHIME' non ancora riconosciuta ufficialmente (e questo per una serie di interessi politici ed economici di bassa lega), nonostante ci siano molti studiosi e linguisti italiani seri e noti all'estero, l'ambiente è fondamentalmente provinciale ed autoreferenziale. Ci sono dunque pochi "specialisti" che sono o si credono tali perchè (udenti) figli di sordi o perchè si sono trovati ad interessarsi della LIS in un periodo in cui nessuno ne sapeva nulla, quindi preparati (e ce ne sono) o no (e ce ne sono), hanno un nome. Queste persone costituiscono piccole enclave (di cui purtroppo anche i sordi fanno parte), che cercano di primeggiare le une sulle altre, sostenendo teorie più o meno corrette e mantenendo la poca conoscenza a disposizione dei loro adepti. Il risultato è che moltissimi di quelli che lavorano ad un certo livello con le persone sorde si odiano tra loro, non solo perchè non condividono le teorie altrui, ma perchè vedono nell'altro un concorrente con cui spartire i sordi disponibili. Tutto ciò non giova, non solo ai diretti interessati, ma anche al progresso delle teorie didattiche. Tanto per dirne una, in Italia c'è ancora una divisione tra sordi segnanti e sordi oralisti, tra sordi con l'apparecchio e sordi con l'impianto cocleare. All'estero (negli Stati Uniti ad esempio) i sordi portano l'impianto cocleare e segnano, non ci sono contrapposizioni che sanno di faida. Non è un caso che noi si sappia sempre così poco di ciò che fanno all'estero, solo lasciandoci tutti nell'ignoranza i vari partiti (coclearisti, pro-LIS, oralisti etc.) possono continuare a spartirsi la torta, frammentando sempre di più l'offerta e tentando di accaparrarsi più sordi possibile. E anche se la sordità è un handicap complesso ed ogni individuo non è uguale all'altro, non è possibile che nel 2012 i genitori di bambini sordi debbano essere ancora prede dei vari opportunismi e non esista un protocollo d'azione per garantire uno sviluppo intellettuale e sociale armonico ai ragazzi sordi. Vedendo la piega che stanno prendendo le cose, e potendo prevedere che nel lungo periodo, vista la nazione stolta che siamo, si andrà verso una sempre maggiore medicalizzazione del sordo (leggi impianti cocleari), tutte queste ridicole divisioni sembrano ancora più patetiche: il Titanic della cultura e della lingua sorda affonda, ma c'è qualcuno che continua a litigare sulla rotta da prendere.
5) A proposito di quest'ultimo punto devo infine dire che al di là di tutte queste cose deprimenti, forse la più deprimente di tutte è la mancanza di considerazione per ciò che un sordo può volere. Gli udenti pensano sempre di scegliere per lui, di scegliere il meglio, soprattutto quand'è un bambino. Allora questa scelta va sempre in funzione della presunta normalità a cui il bambino potrebbe aspirare ma che sicuramente il genitore desidera. Io di figli non ne ho, quindi probabilmente non posso capire la sofferenza di un genitore di bambino con handicap, ma credo che la cosa migliore che questi possa fare sia formire il suo piccolo di tutti gli strumenti a disposizione, lasciando che sia lui, crescendo, a decidere come vuole usarli e cosa vuole tenere. Certo, questo rappresenta una fatica, perchè il genitore è costretto ad essere più consapevole e fisicamente più partecipe, ed inoltre questa visione esclude scelte come l'impianto cocleare, che è -onestamente- l'unica cosa che non riesco ad accettare, perchè mi dà l'idea di una "riparazione". Il sordo non è guasto, è diverso, e la sua diversità è per me una ricchezza che mi costringe a vedere il mondo in modo diverso e più flessibile, facendo attenzione a cose diverse.
Ma come ho detto all'inizio, sono l'unica fessa a credere ancora a queste cose.
venerdì 19 ottobre 2012
Please master boss!
Now boss Mitt Romney went for a ride
Pulled up on a highway side
Tied me down up on the roof
Boss I hollered, woof woof woof
Please master boss!
Don’t look right, it don’t seem right
Hot in the day, cold all night
Where I’m goin’ I just don’t know
Poor dog’s got to bottle up and go
Oh Mr Boss, cut me down!
Woof, woof, woof
He had a ride, sure not ridin’
Poor dog he really had a ride
He had a ride, sure not ridin’
Up on the rooftop here
I’m sat Read more at
venerdì 27 luglio 2012
Che barba!
sabato 9 giugno 2012
Due o tre cose che so sulla disabilità
1. I disabili non sono disabili
L'atteggiamento della società italiana è quello pensare ai disabili come povere creature inerti che vanno guidate per raggiungere obiettivi minimi nella scuola ed accontentarsi di qualche semplice occupazione (fotocopie, lavoretti di artigianato) una volta cresciuti.
Ecco, la verità per come l'ho sperimentata io è che i disabili non sono mai troppo disabili, e spesso raggiungono risultati scolastici pari se non superiori ai loro compagni. Questi capita che non capiscano gli argomenti e le spiegazioni, ma si guardano bene dal renderlo noto, e siccome non hanno diagnosi a giustificare la non comprensione, vengono bollati come pigroni.
La conseguenza è che per raggiungere un striminzito 6 spesso il disabile deve produrre prove molto più complesse di quelle che sono destinate al normodotato.
Oppure gli si dà la sufficienza gratis, ma solo quella, indipendentemente dal fatto che meriti di più in base all'impegno ed al risultato personale raggiunto.
Tutto il sistema è troppo rigido e nozionistico, e non tiene presente delle reali doti e qualità di ogni singolo allievo. Il merito sta nel rispondere a delle domande in modo corretto. Tutto lì.
Tanto è vero che una ragazza che seguo passa brillantemente le prove scolastiche imparando a memoria interi brani dagli appunti che le rielabora l'insegnante di sostegno, ma senza capire cosa ha memorizzato. Le sue doti personali non vengono valorizzate, la scuola è un quiz a premi. I "disabili" ed i "normodotati" hanno bisogno di un sistema che li aiuti a sviluppare le loro capacità individuali.
2. La disabilità appassiona
Un mio amico presentandomi ad una sua conoscente ha detto una volta: "Lei fa un lavoro molto meritevole, perchè segue i disabili". I complimenti fanno piacere, ma francamente li ho trovati immeritati. Perchè se è vero che questo lavoro m'è arrivato per caso, poi mi ci sono appassionata, e non solo al mio campo specifico (la sordità), ma anche agli altri, l'autismo, la sindrome di Tourette etc. Quello che mi affascina non è solo il meccanismo della patologia, ma soprattutto il modo d'interpretare il mondo che hanno coloro che vivono con noi ma non come noi. E appena mi è possibile cerco di migliorare la mia conoscenza in proposito, leggo libri, vado a convegni e corsi. La differenza c'è e non c'è niente di male. Ciò che è male è trattare con condiscendenza queste persone, dando per scontato che non abbiano niente da dare e tutto da prendere. Al contrario, la consapevolezza della propria diversità e delle proprie potenzialità aiutano i "disabili" a diventare autonomi e raggiungere i traguardi che tutti hanno nella vita e che per troppo tempo il piagnisteo e la pietà a poco prezzo gli hanno negato.
La disabilità non è una vergogna, e non deve esserlo.
3. I disabili, un buon affare
Da anni si tagliano i contributi alle politiche per i disabili, con grandissimi disagi per questi ultimi e le loro famiglie. Eppure, gli sprechi vengono dal cuore del sistema, appaltato alle cooperative sociali che non garantiscono il rispetto delle regole (gli appalti alla fine arrivano spesso ai soliti noti, meglio se politicamente ammanicati) e sono un passaggio in più, un costo in più. Le cooperative -alcune cooperative- prosperano con i contributi statali, ma applicano principi economici di profitto che sono in totale conflitto con le loro cosiddette "mission".
C'è poi il sistema dei contributi (ad esempio le indennità di comunicazione per i disabili sensoriali) che rappresenta un modo per lo Stato di lavarsi le mani della questione dei servizi e mettere a tacere i sensi di colpa per la mancata integrazione nel mondo della scuola e del lavoro.
Invece di creare servizi pubblici che funzionano per tutti ed impiegano personale a tempo indeterminato, si preferisce erogare pro capite delle cifre miserrime che certamente non bastano ad usufruire di quegli stessi servizi che vengono erogati da privati, e mettersi così a posto la coscienza: non lavori, ma guarda che bello, ti paghiamo. Che poi non ci si lamenti dei "disabili" che hanno un brutto carattere, anche voi non sareste proprio contenti di essere pagati perchè vi si ritiene inutili ed incapaci di lavorare.
Penso che questa mancata integrazione lavorativa rappresenti anche una perdita in senso economico per il paese, che si priva di forza lavoro.
venerdì 13 aprile 2012
giovedì 5 aprile 2012
Attenzione all'attenzione
domenica 26 febbraio 2012
C.S.I. Casa Mia
Oggi, insieme a mio padre abbiamo fatto un sopralluogo nel mio appartamento per constatare il grado di sporcizia lasciato dall'inquilino e porvi un minimo di rimedio in attesa che subentri un'impresa di pulizie.
sabato 25 febbraio 2012
Tre recensioni per Cosmic, n.3
Il motivo per cui ho scelto il disco di cui mi appropinquo a parlare è che l'hip hop non è un genere che ascolto normalmente. Specialmente quello italiano. Ogni tanto c’è qualche pezzo straniero che mi piaciucchia, ma gli italiani, da Marracash agli Articolo 31, mi annoiano a morte.
Caparezza è un’altra storia. A guardarlo mi ha sempre fatto pensare a Frank Zappa, hairstyle a parte. Ed in effetti -come Zappa-saccheggia a piene mani la storia, l’attualità, i libri, ed ovviamente la musica, li taglia a pezzettini e li frulla con furore e beffarda ironia. Ascoltare “Il sogno eretico” è farsi un viaggio a tutta velocità su una giostra selvaggia dalla quale osserviamo non solo i giorni nostri ma anche (incredibile a dirsi) la storia del nostro paese, anche parecchio remota. Bisogna stare veramente attenti, perchè i riferimenti ed i giochi di parole sono innumerevoli, si potrebbe passare mesi a passare e ripassare ogni canzone. Caparezza è(giustamente) pieno di rabbia, ma le sue canzoni non sono semplicemente degli sfoghi, raccontano storie, sono critica sociale e politica, e -grande merito che divide in parte con Frankie Hi-NRG- fanno morire dal ridere: così le velenose frecciate all'industria discografica di “Chi se ne frega della musica”, la critica alla tendenza (tutta italiana) alla supina obbedienza ai dogmi religiosi contenuta in “Il dito medio di Galileo”, e quella alla personalizzazione di certa politica di “Legalize the premier” fanno breccia grazie alle geniali trovate musicali e di testo.
Ogni canzone meriterebbe un'analisi: “La marchetta di popolino” che se la prende con i lati peggiori dell'italianità, con quel popolo che pur vessato continua a farsi incantare dalla televisione e dai politici ladroni; “House credibility” esplora i rischi del vivere in casa, luogo che ci piace pensare sicuro ma che nasconde incredibili pericoli; “Goodbye Malinconia” contempla un paese talmente allo stremo da essere stato abbandonato dai suoi stessi abitanti, fuggiti chissà dove.
Esilarante è il gioco di “Kevin Spacey”, ma non ve lo svelo, ascoltatela.
Sul finale il disco si fa più rabbioso, e il Capa infila quattro pezzi che sprizzano indignazione ma non rassegnazione, tra cui spiccano “Non siete Stato voi”, invettiva dall'incedere martellante contro i politici che hanno distrutto il paese approfittando della loro posizione, e l'acidissima e circense “Ti sorrido mentre affogo”.
“Il sogno eretico” è un concentrato che racconta l'Italia ed il mondo che ci circonda in questi anni meglio di tanti programmi televisivi e libri, e articoli di giornale. Ci dice come siamo e perchè siamo arrivati ad essere così. Probabilmente in un futuro sarà allegato ai libri di storia. Bello, proprio tanto, tanto bello.
mercoledì 22 febbraio 2012
Glory Day
sabato 18 febbraio 2012
Ecco, forse adesso sono un pò arrabbiata
A volte ritornano. Ci sono eventi della tua vita che tu ritieni ormai passati allo stato di memoria storica, ma continuano a riaffiorare sulla bocca delle persone che conosci sotto forma di critiche, frecciatine, lamentele o peggio del peggio, giudizi.
domenica 29 gennaio 2012
Senza titolo
domenica 22 gennaio 2012
sabato 21 gennaio 2012
Fuck the 60ties!
Io ed il mio fidanzato abbiamo una consistente differenza d'età.
domenica 15 gennaio 2012
Tre dischi per Cosmic, n. 2
Cosmic mi ha chiesto tre recensioni di altrettanti dischi del 2011, o meglio, visto che sono una ritardataria cronica, che avessi scoperto nel 2011. Per pura combinazione la prima, che metteva a confronto Teatro degli Orrori e One Dimensional Man si riferiva a un disco uscito nel 2011 e con incredibile fortuna, anche questa.
Mi dedicherò dunque alla mia eroina di sempre, PJ Harvey, che ho amata dal primo “Dry” e trovo ancora modello di donna da seguire nella sua bravura ed auto ironia.
Ed allora, ecco “Let England Shake”, che segue l’etereo e per me bellissimo e sorprendente “White Chalk”, dal quale si discosta per la strumentazione elettrica (diverse tastiere, chitarra), in cui però trovano spazio anche la cetra e cori etnici e per la durezza dei testi. Il suono è sicuramente più pieno, meno impalpabile di quello di “White Chalk”, ma sempre asciutto, mai ridondante, mai esagerato, come da sempre siamo abituati con lei.
A tanti anni di distanza dal suo primo album, PJ Harvey è per certi versi irriconoscibile, della ragazzina che ascoltava che prendeva ispirazione da Howlin’ Wolf per il suo blues al calor bianco sembra rimasta solo la voce, ancora capace di mettere i brividi. Allora però era uno strumento potente e quasi incontrollabile, mentre ora è più omogenea alla struttura delle canzoni.
“Let England Shake” è un album cupo, che parla della guerra e di tutto l’orrore che porta con sé. I versi sono durissimi, e raccontano un occidente addormentato in cui l’indifferenza ha vinto ed ogni mostruosità è coperta da lustrini e risate, in cui tutti girano la testa dall’altra parte:
“Sorridi, sorridi Bobby, con quella tua bella bocca. Dimentica i tuoi guai andiamo verso la fontana della morte e spruzziamoci, nuotiamo, e ridiamo forte”
Canta con dolore il proprio paese, complice dei conflitti in Medio Oriente, canta le vittime (“The glorious land”, “Written on the forehead”), i mariti diventati soldati, le mogli pronte a diventare vedove (“Bitter branches”).
Le immagini sono limpide e spettrali, la musica si potrebbe dire ellittica perchè -eccettuato il crescendo di “All and everyone”- i suoni sono tutt’altro che aggressivi, a volte paiono addirittura giocosi, come in “Written on the forehead”, un reggae quasi allegro.
Ovviamente c’è molto di più in questo disco, ma non ve lo racconterò tutto io, ascoltatelo…
mercoledì 4 gennaio 2012
Tutta colpa dell'Inglese (o One Dimensional Man vs Teatro degli Orrori)
Conosco gente che rimpiange il tempo in cui Pierpaolo Capovilla e soci si facevano chiamare One Dimensional Man. Costoro saranno probabilmente contenti che l'irrequieto Capovilla, al colmo del successo del Teatro degli Orrori, abbia pensato di tornare alla vecchia formazione e pubblicare con questa un nuovo album, "A better man".
Invero, il fenomeno mi appare bizzarro, l'unica spiegazione che riesco a darmi è che i nostri eroi siano animati da uno spirito da bastian contrario che li porta a queste mosse spiazzanti.
Ad ogni modo il punto è che non c'è storia, il Teatro degli Orrori è meglio, molto meglio dei One Dimensional man, e adesso vi spiego anche perchè.
Dopo aver ascoltato i dischi di entrambe le formazioni e averci pensato un pò, sono giunta alla conclusione che il problema stia in gran parte nella lingua scelta dagli ODM, l' inglese. Per anni e anni mi sono sentita ripetere che l’Italiano non è una lingua rock: i primi dischi di Ligabue erano osannati anche perché riuscivano a mettere su melodie rock versi interessanti seguendo la ritmica. Cantanti come Elisa hanno preferito per molto tempo cantare in Inglese nonostante questa scelta le penalizzasse sul mercato locale, perché sentivano di potersi esprimere meglio con questa lingua.
Ebbene signori, il Teatro degli Orrori ha dimostrato che queste teorie erano tutte fregnacce e che si può fare musica rock, veloce, in Italiano, e con bellissimi testi. Anzi, hanno dimostrato pure che la lingua d’Albione non è sempre così efficace come ci hanno fatto credere. Infatti, i testi dei One Dimensional Man (in Inglese) non hanno la stessa forza di quelli dei TDO, sembrano scritti con timidezza, insicurezza, e non hanno certo la potenza deflagrante di quelli in Italiano.
C’è poi un altro motivo, squisitamente linguistico e fonetico.
Secondo le teorie della Linguistica moderna, se una persona non impara una lingua entro i primi anni di vita, non sarà mai in grado di riprodurne perfettamente l’accento. Posso dedurne che la lingua parlata in qualche modo plasma gli organi della bocca, e quindi gli Italiani sono in grado di riprodurre perfettamente una certa serie di suoni, i francesi un’altra serie e così via. Aggiungete che l’Italiano ha una gamma di emissioni che in parte si discostano da quelle dell’Inglese.
Capirete allora come l’emissione di suoni inglesi renda difficile ad un italiano sfruttare completamente il suo potenziale vocale. Pierpaolo Capovilla (che deve aver fatto dei corsi di teatro per acquisire l’espressività vocale che lo contraddistingue) ribalta i tavoli nei dischi dei TDO e a malapena fa tremar le sedie in quelli degli ODM.
Ammetto che questa teoria possa sembrare un po’ fantasiosa, ma sono abbastanza convinta che sia plausibile. Anche perché la musica di entrambe i gruppi è forte, il vero punto debole sono i testi e la voce di Capovilla che non è evidentemente al suo massimo. E' confortante scoprire che anche la lingua di Dante può tener testa al rock...
Mi resta solo da capire il motivo della scelta di Capovilla e co., non sono molto informata su questo particolare…
martedì 3 gennaio 2012
Moby Dick
Eccole dunque, in ordine sparso, non di preferenza, senza l'intenzione che diventino "propositi per questo o un qualsiasi anno nuovo". Sarete magari delusi dall'ingenuità di alcuni desideri ma che volete, io sono un tipo semplice...
1) Provare l' LSD
2)Scrivere uno o più romanzi
3)Andare in Mongolia, Nepal e Russia
4)Lanciarmi col paracadute
5)Innamorarmi ancora
6)Sviluppare un superpotere
7)Cambiare identità
8)Conoscere gli alieni
9)Scappare col circo
10)Pogare seriamente ad un concerto metal
11)Laurearmi
mercoledì 7 dicembre 2011
Cambiare strada
giovedì 6 ottobre 2011
Citami questo! / 3
2) Ce ne stavamo seduti a chiacchierare in un ristorante etiope scelto da lei. E io facevo qualche battuta tipo:"Ehi! Non sapevo che si mangiasse in Etiopia, sarà una cosa rapida: ordino due piatti vuoti e via!"
3) Se uno ti accompagna all'aeroporto è chiaro che è all'inizio di una relazione, ecco perché io non accompagno nessuno all'aeroporto all'inizio di una relazione. Perché alla fine le cose cambiano, e tu non l'accompagni più all'aereoporto, e io non voglio sentirmi dire: "Come mai non mi accompagni più all'aeroporto?"
4) Quanto vuoi essere coccolata dopo? Tutta la notte, eh? Ecco, il tuo problema sta proprio tra quei 30 secondi e tutta la notte
5) No, no no no no, non l'ho mai detto! ... Sì, hai ragione, non possono essere amici. Cioè, se tutti e due stanno con qualcun altro allora sì, è l'unico emendamento alla regola d'oro: "Se due persone stanno con altri la possibilità di un coinvolgimento diminuisce". E non funziona lo stesso, perché allora la persona con cui stai non capisce perché devi essere amico della persona di cui sei solo amico, come se mancasse qualcosa al rapporto e dovessi andare a cercartelo fuori. E quando dici "no, no, no, non è vero, non manca niente al rapporto", la persona con cui stai ti accusa di essere segretamente attratto dalla persona di cui sei solo amico, il che probabilmente è vero. Insomma parliamoci chiaro, vale la regola d'oro, si abolisce l'emendamento: uomini e donne non possono essere amici. Vieni a cena con me?
martedì 20 settembre 2011
domenica 4 settembre 2011
Vuoto totale
Non amo molto cenare con estranei. E per estranei intendo persone che magari conosco da anni ma con le quali non ho per vari motivi molto da spartire o una frequentazione assidua. Capita spesso, purtroppo, di intrattenere questo genere di rapporti e di solito sono i colleghi, ad essere il gruppo di estranei con cui si finisce per fare questo genere di esperienza.
Per me sono i cognati gli estranei in questione. Questa settimana ci ho cenato insieme per ben due volte. Sono ottime persone, con un passato piuttosto fuori dal comune che sarebbe bello ascoltare. Ieri sera si sono presentati con una cugina di lei e altre due persone che non avevo mai visto.
Orrore.
Detesto queste situazioni, mi creano imbarazzo solo a pensarci. Perché io sarei anche una che parla di cose personali, non necessariamente del tempo, ma c’è poco da fare, quel che ha da raccontare la gente non è granchè.
La cosa che temo di più è che ci si aspetti qualcosa da me, dal mio parlare, e d’altronde detesto le serate a senso unico, in cui qualcuno resta tagliato fuori.
Così ce la metto tutta, faccio osservazioni ironiche, faccio la spiritosa, tiro in mezzo il fidanzato. Ieri sera ho un po’ salvato la situazione dirottandolo sui racconti dell’infanzia con suo fratello, che erano divertenti (anche se li ho ascoltati già 200.349 volte) e facendo alla cugina di mia cognata domande sulla sua nuova pettinatura e sul suo nuovo colore di capelli. Bisogna interessarsi a chi si ha vicino per cercare di scioglierli un po’.
D’altronde, se non si può cavar sangue da una rapa, non si possono cavare discorsi intelligenti o perlomeno interessanti da chi non ha voglia di farne.
Così non siamo sfuggiti alle solite battute a sfondo sessuale (dirette a mio cognato ed alla cugina), alle insopportabili bullate di chi aveva comprato un vino splendido pagandolo niente (ma si potrebbe trattare di un agriturismo economico e fantastico, di un negozio di abiti di marca venduti a prezzi ridicoli, di qualunque cazzata risvegli la “sindrome del pescatore scaltro”, quello che ha preso il pesce più grosso e fatto l’affare migliore), ai discorsi sul tempo metereologico.
Libri? Neanche nominati. Musica? Film? Ma esistono?
Con l'età comincio ad essere insofferente verso questo genere di riunione, mi annoiano, mi svuotano. E finisco per bere e mangiare troppo, come ieri sera.
Mi infastidisce non solo sprecare il mio tempo, ma rendermi conto di non essere in grado di superare la barriera della banalità che circonda gli individui fino a quando non capiscono di potersi fidare. Magari queste persone non sono per niente interessanti, magari invece lo sono e hanno un sacco di cose da raccontare, ma chissà quante serate del genere dovrò sopportare prima di scoprirlo.
mercoledì 3 agosto 2011
Il bicchiere dell'acqua si paga
Lunedì scorso ero in un porto sardo per prendere il traghetto che mi avrebbe portata in continente. Non è un porto da ricchi, anzi, la gente arriva e parte da lì perchè costa meno. Vado a bermi un caffè al bar e sopra il bancone leggo su un cartello IL BICCHIERE DELL'ACQUA SI PAGA! sottolineato in minaccioso pennarello rosso.
domenica 24 luglio 2011
Roses and Broken hearts
giovedì 21 luglio 2011
Too fast for love, Cosmic e Titta al concerto di John Mellencamp (Vigevano 9/7/2011 )
Cosmic: - Wow, grande!
Titta: -Però guarda che non pogo, eh?
Cosmic: - Pogare? Ad un concerto di Mellencamp?!?
PROLOGO 2:
C’era gente che aspettava da una vita che John Cougar Mellencamp facesse tappa in Italia con un tour. Perché non sia venuto prima non è molto chiaro (girano versioni diverse al limite della leggenda urbana) e forse si è deciso fuori tempo massimo a fare il grande passo. Non perché sia diventato troppo vecchio, ma perché a un musicista come lui avrebbe certamente giovato frequentare la nostra penisola negli anni 80, quando Springsteen imperversava e gente anche meno talentuosa ebbe il suo momento. Scelte.
– Tranqui, la so bene la strada.
Si continua con gli epiteti borbottati alla terza tangenziale sbagliata.
Si finisce con imbroccare la strada statale giusta (dopo aver sbagliato l’uscita più facile della storia della topografia), alle 19:30. Da lì giungiamo sull’obiettivo in appena 30 minuti.
All’interno del cortile del Castello Sforzesco, luogo centrale ma contenuto, adatto a concerti tranquilli, l’atmosfera è rilassata. L’età media è piuttosto alta, non si vedono spettatori sotto i 35 anni, nessuno si accalca alle transenne sottopalco alla ricerca del posto migliore, la fila per il panino alla salamella echeggia dei soliti discorsi sul miglior concerto mai visto nella propria vita, sull’esecuzione memorabile di questo o quel pezzo, sui prossimi incontri a qualche altro festival, su esperienze da festival allucinanti (vince a mani basse l’organizzazione del Rock in Idrho) raccontate con fare da reduci e bullerie del genere.
Scegliamo due hamburger “completi” e individuiamo una panca tranquilla (senza tavolo, che erano tutti occupati) per appoggiare le nostre pigre chiappe e consumare il panozzo, congruo compromesso tra il famoso fast-food, brand americano, e l’attenzione italiana ai panini, tenendo il bicchiere di birra tra le cosce (per ovviare al rischio riscaldamento cerchiamo di bere in fretta).
La postazione è favorevole per ammirare le t-shirt che passano di lì. Ne girano di strepitose, Silver Surfer, Jerry Garcia Band, Flogging Molly, Bob Dylan, John Spencer Blues Explosion, Gaslight Anthem e perfino una di Hank III. Cosmic nel vederla è combattuto tra l’invidia (era certo di vincere la t-shirt contest con la sua verde dei Pogues) e la commozione (un altro fan di Hank Williams III!!! Non se ne vedono spesso…).
Cosmic osa sfidare il cesso chimico, Titta pavidamente rinuncia. Scopriamo con sconcerto che le postazioni di beveraggio non hanno la macchinetta del caffè. Orrore.
Si gira ancora un po’ per gli stand (miserelli per la verità), con una fermata stranamente breve a quello dei dischi: la crisi attanaglia persino il portafogli degli inossidabili dinosauri musicali.
Verso le 20.30 finalmente prendiamo possesso del prato: prima del concerto è prevista la proiezione di It’s about you, un film sulla lavorazione dell’ultimo album di Mellencamp,“No better than this”. Questa scelta ci è subito parsa curiosa come apertura di un concerto, ma dato il tema pensavamo sarebbe stato comunque interessante. Invece ci siamo trovati di fronte ad un documentario autocelebrativo in stile on the road, girato tutto in super 8 con inquadrature finto casuale, modi da videoclip degli anni 90 e un voiceover in americano senza sottotitoli (grazie mille da parte di chi non sa l'Inglese). Non solo.
Con l'occhio degli espertoni potremmo dire che si voleva imitare il “Don't look back” di D.A. Pennybaker,(che raccontava la tourneè inglese di Bob Dylan nel 1965 e lì alcune inquadrature erano veramente casuali) con risultati deludenti. Come spettatori abbiamo trovato il racconto poco interessante e di uno stile superato. Senza contare che si mostravano spezzoni di concerti nei quali sono anticipate le versioni rivedute di alcuni classici che saranno poi regolarmente suonate (“Smalltown” acustica, “Cumblin’ down”…). Francamente incomprensibile.
Ad ogni modo, la visione del film ha avviato un intenso dibattito dagli elevati contenuti culturali:
- Cavolo, però c'ha ancora un sacco di capelli Mellencamp
- Ma sai che stavo per dire lo stesso? Non come il Boss che ha fatto il trapianto
- EEEH???! Veramente? Cavolo, che scoperta. Da Springsteen non me l'aspettavo...
- Eh sì, che ci vuoi fare…
Il film continua, e continua, e continua.
L'insofferenza del pur paziente pubblico si fa palpabile. Dissolvenza...dai che è finito...NOOOO! Ricomincia!
Ora piovono fischi.
E' ormai buio quando finalmente partono i titoli di coda, che vengono trasmessi integralmente, ora sappiamo perfino chi ha portato i panini alla troupe.
Siamo seriamente preoccupati che ora sia il turno del cineforum…
Per fortuna arrivano i roadies a smontare lo schermo (non senza qualche difficoltà…) e ci scappa qualche altro interminabile minuto di ritardo per gli ultimi ritocchi al soundcheck (!??!?). Allucinante.
Sono quasi le 22:30 quando FINALMENTE comincia la musica. Apre “Authority Song” che ha un ritornello facile facile che Mellencamp lascia cantare al pubblico. Titta si unisce al coro, anche grazie a Cosmic che fa da gobbo.
La band è davvero notevole. Spicca il chitarrista, bravissimo. Grande importanza hanno anche le esecuzioni della violinista, che hanno uno spazio sempre significativo negli arrangiamenti.
Nonostante un cretino col cappello a falde larghe continui a fare foto con un flash che fungerebbe perfettamente come faro marittimo, ce la stiamo godendo.
Inizia poi una lunga sessione acustica durante la quale Titta, nonostante l’ignoranza Mellencampiana riconosce alcuni brani ascoltati per radio o televisione, tra cui “Small town”, che forse sarebbe stato meglio lasciare elettrica (su questo con Cosmic si concorda) e una toccante “Longest days”.
Poi si ritorna all'elettricità e gli ultimi brani sono entusiasmanti, fino al finale, durante il quale Mellencamp trascina sul palco dal pubblico un ragazzino (incredibile, un ventenne!) e canta insieme a lui. Divertente, l'unico momento di calore verso il pubblico. Dopodichè John ringrazia e se ne va. Ci aspettavamo un paio di bis, invece i roadies iniziano immediatamente ad impacchettare gli strumenti, togliendoci ogni speranza.
Questa mossa lascia tutti sbigottiti e delusi. Cosmic è senza parole:
- Ma come…
- E “Hurt so good”?!?
- E “Human wheels”?!?
- E “Paper in fire”?!?
- E “Wild night”?!?
- E...
- Coraggio Cosmic, non aggrapparti alla transenna, vieni via.
- Ma no, aspetta…E “Key west intermezzo”?!?
C'è un limite oltre il quale l'atteggiamento scorbutico della star diventa quasi disprezzo, e il nostro John a farci star male c'è riuscito piuttosto bene. Nonostante la bravura della band e la bellezza dello spettacolo, se ne esce con la sensazione di essere stati un po' presi in giro, di aver assistito ad un'esibizione preconfezionata, fresca come la Coca cola quando sei assetato o gustosa come il Big Mac quando sei assalito dalla fame chimica, ma sempre uguale dovunque andrà. Se ci andrà…
domenica 10 luglio 2011
To remind me
I was where I was supposed to be
My vision was true and my heart was too
There was no end to what I could dream
I walked like a hero into the setting sun
Everyone called out my name
Death to me was just a mystery
I was too busy raising up Cain
But nothing lasts forever
Your best efforts don't always pay
Sometimes you get sick
And don't get better
That's when life is short
Even in its longest days
So you pretend not to notice
That everything has changed
The way that you look
And the friends you once had
So you keep on acting the same
But deep down in your soul
You know you, you got no flame
And who knows then which way to go
Life is short even in its longest days
All I got here
Is a rear view mirror
Reflections of where I've been
So you tell yourself I'll be back up on top some day
But you know there's nothing waiting up there for you anyway
Nothing lasts forever
And your best efforts don't always pay
Sometimes you get sick
And you don't get better
That's when life is short
Even in its longest days
Life is short
Even in its longest days
Qui c'è il video dell'esecuzione di ieri sera a Vigevano
domenica 12 giugno 2011
E poi siamo arrivati alla fine...
Lo so che sembra un gran piangersi addosso e che cose del genere accadono tutti i giorni in tutti gli ambiti lavorativi.
Speravo che almeno umanamente avrei sentito di aver fatto la cosa giusta, e invece no.
sabato 21 maggio 2011
Against Fashion 2
sabato 14 maggio 2011
ANSIE
mercoledì 11 maggio 2011
Babbei
domenica 8 maggio 2011
RAGE
Vi ho parlato più volte del mio lavoro, e spesso vi ho detto quanto poco sia pagato, regolamentato, riconosciuto.
Infine pensate a come si possa sentire un'assistente quando si sente dire che il corso è per stabilire che cosa LEI deve fare e perchè sia capace di far rispettare il patto educativo tra scuola e famiglia.
domenica 1 maggio 2011
Oppio di popoli
In questo giorno che deve essere dedicato a un valore laico come il lavoro, la chiesa cattolica celebra la beatificazione di Giovanni Paolo II alias santosubito. Non so voi, mai io vedo quest'evento come un contributo al tentativo di alcuni di svuotare di significato la data del Primo Maggio.
Ecco, è questa la cosa più assurda. Gente che si appropria di parole come AMORE e CONDIVISIONE sembra avere il più assoluto disprezzo per la parola RISPETTO (delle idee altrui). O con me, o contro di me, o dentro, o fuori. Detto tra noi, se Dio è un tipo in gamba come dicono, credo proprio che non approvi un sentimento del genere.