domenica 29 gennaio 2012

Senza titolo

Tutti intravvediamo l'abisso, di quando in quando. Solo alcuni hanno il coraggio di lasciarvisi cadere. (Anonimo)

sabato 21 gennaio 2012

Fuck the 60ties!


Io ed il mio fidanzato abbiamo una consistente differenza d'età.
Questo per me non è mai stato un elemento problematico, nonostante ogni tanto mi si chieda se sia mio padre, quando comunico la sua età sono tutti sorpresi dal suo aspetto che -come il mio del resto- non tradisce il dato reale.

Ultimamente però, il peso di questa differenza si è fatto evidente. Soprattutto da quando è rimasto a casa in pensione, il suo mondo mentale si è sempre più ristretto, fino ad assumere la prospettiva di un criceto nella ruota.
Una volta alla settimana incontra i suoi amici storici al bar di un altro amico storico, e quella è tutta la sua vita sociale. Purtroppo gran parte di queste riunioni è inquinata dal ricordo, dalla nostalgia dei tempi andati, dall'immobilità di fronte al futuro.

Conosco il fascino del passato, so quanto possa essere vischioso: io non ho mai smesso di desiderare di tornare bambina, perchè essere adulta è una vera sofferenza. Tuttavia, provo continuamente a cercare la mia strada frequentando corsi, facendo volontariato, cercando per quanto mi è possibile nuove esperienze.

E vedere un uomo che ha la fortuna di avere tante possibilità e tanto tempo, ed il denaro per sfruttare quel tempo (una pensione non è mai come uno stipendio, ma è pur sempre un reddito sicuro) buttarli via ricordando continuamente il passato e ripetendo all'infinito vecchie avventure invece di cercarne di nuove è deprimente.
L'immobilità mentale si traduce in una rigidità insopportabile che esalta la ripetizione degli stessi temi ed in un rafforzamento delle sue fissazioni (per le pulizie ad esempio) invece delle sue qualità di uomo.

Forse è colpa del fatto che la sua gioventù è stata certamente più divertente della mia, tra canne e concerti di Jimi Hendrix, Frank Zappa, Deep Purple etc. e ricordarla è un'operazione più confortante del guardare al presente, con gli acciacchi e gli annessi dell'avanzare dell'età.
A pensarci, il peso che porta il popolo degli "original 60ties youngsters" è gigantesco, stupidamente immenso: il peso di un cambiamento epocale nella musica, nel costume sociale, nella politica, di cui oggi rimangono solo i dischi ed i gloriosi ricordi.
Provo ad immaginare cosa debba provare chi ha vissuto in prima persona quel periodo che per noi è fantastico quanto una favola, ed altrettanto immateriale, mentre per loro -a causa nostra- è un culmine di gloria a cui hanno fatto seguito anni di duro risveglio dal sogno.
Ma se tutti ti guardano con ammirazione, si accorgono di te quando dici che beh, sì, tu c'eri all'unica tourneè italiana di Hendrix, hai partecipato ai movimenti politici, vuoi rinunciare a questo piccolo momento di gloria? Difficile.
E allora si continua incessantemente a ricordare, perdendo di vista l'adesso e ciò si è in questo adesso.
Non so se è ciò che accade al mio fidanzato, ma sicuramente a molti che gli stanno intorno e che frequenta. E allora, meglio avere la tristezza dei Duran Duran e degli anni 80 come ricordo, almeno viaggio leggera, e penso al presente ed al futuro.

Non seppellisco gli anni sessanta, rimangono un'ispirazione a seguire l'ispirazione, ma se vogliamo che torni un periodo del genere, di tanta gloria e speranza, ce li dobbiamo scordare.



domenica 15 gennaio 2012

Tre dischi per Cosmic, n. 2



Cosmic mi ha chiesto tre recensioni di altrettanti dischi del 2011, o meglio, visto che sono una ritardataria cronica, che avessi scoperto nel 2011. Per pura combinazione la prima, che metteva a confronto Teatro degli Orrori e One Dimensional Man si riferiva a un disco uscito nel 2011 e con incredibile fortuna, anche questa.


Mi dedicherò dunque alla mia eroina di sempre, PJ Harvey, che ho amata dal primo “Dry” e trovo ancora modello di donna da seguire nella sua bravura ed auto ironia.


Ed allora, ecco “Let England Shake”, che segue l’etereo e per me bellissimo e sorprendente “White Chalk”, dal quale si discosta per la strumentazione elettrica (diverse tastiere, chitarra), in cui però trovano spazio anche la cetra e cori etnici e per la durezza dei testi. Il suono è sicuramente più pieno, meno impalpabile di quello di “White Chalk”, ma sempre asciutto, mai ridondante, mai esagerato, come da sempre siamo abituati con lei.


A tanti anni di distanza dal suo primo album, PJ Harvey è per certi versi irriconoscibile, della ragazzina che ascoltava che prendeva ispirazione da Howlin’ Wolf per il suo blues al calor bianco sembra rimasta solo la voce, ancora capace di mettere i brividi. Allora però era uno strumento potente e quasi incontrollabile, mentre ora è più omogenea alla struttura delle canzoni.


“Let England Shake” è un album cupo, che parla della guerra e di tutto l’orrore che porta con sé. I versi sono durissimi, e raccontano un occidente addormentato in cui l’indifferenza ha vinto ed ogni mostruosità è coperta da lustrini e risate, in cui tutti girano la testa dall’altra parte:


“Sorridi, sorridi Bobby, con quella tua bella bocca. Dimentica i tuoi guai andiamo verso la fontana della morte e spruzziamoci, nuotiamo, e ridiamo forte”


Canta con dolore il proprio paese, complice dei conflitti in Medio Oriente, canta le vittime (“The glorious land”, “Written on the forehead”), i mariti diventati soldati, le mogli pronte a diventare vedove (“Bitter branches”).


Le immagini sono limpide e spettrali, la musica si potrebbe dire ellittica perchè -eccettuato il crescendo di “All and everyone”- i suoni sono tutt’altro che aggressivi, a volte paiono addirittura giocosi, come in “Written on the forehead”, un reggae quasi allegro.


Ovviamente c’è molto di più in questo disco, ma non ve lo racconterò tutto io, ascoltatelo…

mercoledì 4 gennaio 2012

Tutta colpa dell'Inglese (o One Dimensional Man vs Teatro degli Orrori)


Conosco gente che rimpiange il tempo in cui Pierpaolo Capovilla e soci si facevano chiamare One Dimensional Man. Costoro saranno probabilmente contenti che l'irrequieto Capovilla, al colmo del successo del Teatro degli Orrori, abbia pensato di tornare alla vecchia formazione e pubblicare con questa un nuovo album, "A better man".

Invero, il fenomeno mi appare bizzarro, l'unica spiegazione che riesco a darmi è che i nostri eroi siano animati da uno spirito da bastian contrario che li porta a queste mosse spiazzanti.

Ad ogni modo il punto è che non c'è storia, il Teatro degli Orrori è meglio, molto meglio dei One Dimensional man, e adesso vi spiego anche perchè.

Dopo aver ascoltato i dischi di entrambe le formazioni e averci pensato un pò, sono giunta alla conclusione che il problema stia in gran parte nella lingua scelta dagli ODM, l' inglese. Per anni e anni mi sono sentita ripetere che l’Italiano non è una lingua rock: i primi dischi di Ligabue erano osannati anche perché riuscivano a mettere su melodie rock versi interessanti seguendo la ritmica. Cantanti come Elisa hanno preferito per molto tempo cantare in Inglese nonostante questa scelta le penalizzasse sul mercato locale, perché sentivano di potersi esprimere meglio con questa lingua.

Ebbene signori, il Teatro degli Orrori ha dimostrato che queste teorie erano tutte fregnacce e che si può fare musica rock, veloce, in Italiano, e con bellissimi testi. Anzi, hanno dimostrato pure che la lingua d’Albione non è sempre così efficace come ci hanno fatto credere. Infatti, i testi dei One Dimensional Man (in Inglese) non hanno la stessa forza di quelli dei TDO, sembrano scritti con timidezza, insicurezza, e non hanno certo la potenza deflagrante di quelli in Italiano.

C’è poi un altro motivo, squisitamente linguistico e fonetico.

Secondo le teorie della Linguistica moderna, se una persona non impara una lingua entro i primi anni di vita, non sarà mai in grado di riprodurne perfettamente l’accento. Posso dedurne che la lingua parlata in qualche modo plasma gli organi della bocca, e quindi gli Italiani sono in grado di riprodurre perfettamente una certa serie di suoni, i francesi un’altra serie e così via. Aggiungete che l’Italiano ha una gamma di emissioni che in parte si discostano da quelle dell’Inglese.

Capirete allora come l’emissione di suoni inglesi renda difficile ad un italiano sfruttare completamente il suo potenziale vocale. Pierpaolo Capovilla (che deve aver fatto dei corsi di teatro per acquisire l’espressività vocale che lo contraddistingue) ribalta i tavoli nei dischi dei TDO e a malapena fa tremar le sedie in quelli degli ODM.

Ammetto che questa teoria possa sembrare un po’ fantasiosa, ma sono abbastanza convinta che sia plausibile. Anche perché la musica di entrambe i gruppi è forte, il vero punto debole sono i testi e la voce di Capovilla che non è evidentemente al suo massimo. E' confortante scoprire che anche la lingua di Dante può tener testa al rock...

Mi resta solo da capire il motivo della scelta di Capovilla e co., non sono molto informata su questo particolare…

martedì 3 gennaio 2012

Moby Dick

Nel film "Zelig", Woody Allen tentava per tutta la vita di leggere "Moby Dick", senza riuscirci mai e conservando, alla fine della propria vita, il rimpianto per non averlo letto. Prima di Natale Cosmic mi ha fatto tornare in mente questo film e così ho pensato di elencare una serie di cose che mi piacerebbe fare prima di andare nell'altra stanza, con la speranza che non diventino come il libro di Melville per Zelig.

Eccole dunque, in ordine sparso, non di preferenza, senza l'intenzione che diventino "propositi per questo o un qualsiasi anno nuovo". Sarete magari delusi dall'ingenuità di alcuni desideri ma che volete, io sono un tipo semplice...

1) Provare l' LSD

2)Scrivere uno o più romanzi

3)Andare in Mongolia, Nepal e Russia

4)Lanciarmi col paracadute

5)Innamorarmi ancora

6)Sviluppare un superpotere

7)Cambiare identità

8)Conoscere gli alieni

9)Scappare col circo

10)Pogare seriamente ad un concerto metal

11)Laurearmi