sabato 27 dicembre 2008

Franco Battiato "La Cura"

Lo sanno i miei amici, Franco Battiato non è il mio cantautore preferito.
Anzi, non mi piace granchè. Però lo ammiro perchè si fa sempre, grandemente i cazzi suoi fregandosene delle sciocchezze del mondo che lo circonda, prendendo bellamente in giro i giornalisti che gli fanno domande idiote e sfuggendo ai clichè in cui vorrebbero poterlo inscatolare i mezzi di comunicazione...
Delle sue canzoni, due mi piacciono veramente tanto: una è "Povera patria", tanto acida verso i politicanti che fanno da troppo tempo scempio dell'Italia, tanto rabbiosa e tanto signora.
L'altra è "La cura" una canzone splendida, che parla di amore spirituale e fisico, umano e divino. Una canzone che cantanta dal Franco dà veramente i brividi, conquista anche le mie orecchie superscettiche e mi fa sospirare sognando un amore del genere.

Ma cantata dalla voce piatta e lagnosa di Celentano, come purtroppo ci capita in questi giorni di fine 2008, diventa una melassa tignosa e insopportabile...Qualcuno dovrebbe fare qualcosa...Vi lascio col testo e poi ditemi...

La cura

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te.

Vagavo per i campi del Tennessee (come vi ero arrivato, chissà).
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni attraversano il mare.
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.
Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza.
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d'agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
Ti salverò da ogni malinconia,
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te
... Io sì, che avrò cura di te.

domenica 21 dicembre 2008

Stephen King "On Writing", Raymond Carver "Il mestiere dello scrivere"




Premetto di aver letto solo tre libri sul lavoro dello scrittore.



Il mio prof di sceneggiatura Antonio Tettamanti dice sempre che per imparare a scrivere bisogna scrivere e leggere. Sono ancora convinta che sia il consiglio in assoluto più sensato.

Nonostante ciò, questi due libri, così diversi -come agli antipodi stanno i due scrittori- sono entusiasmanti, ti fanno venir voglia di scrivere e sono rivelatori delle personalità dei loro autori.

Infatti, mentre il tomo di King è un vero libro, una specie di autobiografia che racconta la genesi della sua passione letteraria e di molti dei capolavori da lui scritti, passando per gli inziali inevitabili insuccessi, la celebrità mondiale, l'alcolismo e un pauroso incidente stradale, quello di Carver è poco più di un opuscoletto che raccoglie diversi saggi sulla scrittura creativa, materia che insegnò per anni presso alcune università Americane.

Così se il primo crea un legame affettivo immediato e profondo col lettore, il secondo gli offre una serie di opinioni oneste, puntuali, sulla scrittura e sulla lingua, che come noto per Carver aveva un'importanza capitale.

Stephen King scrive libroni anche di 700 pagine, Raymond Carver componeva racconti brevi e poesie, limava, ragionava, riscriveva all'infinito. Stephen King mette il suo vissuto in chiave fantastica, Carver è un naturalista, un osservatore.

Una delle cose più apprezzabili di entrambe i volumi è che il mestiere dello scrittore viene descritto ponendo l'accento sul duro lavoro necessario ma spogliandolo del mito del "dono divino"; scrivere non è facile e non tutti coloro che vi si cimentano diventeranno professionisti, ma Carver e King sembrano incoraggiarvi a trovare la vostra strada, senza paura di sbagliare, perchè dagli errori si impara.
Inoltre, vi insegnano ad accettare le vostre peculiarità, anche se sembrano in contrasto con le mode letterarie e con gli stili dei vostri autori preferiti.

In definitiva si può dire che questi due libri sono complementari ed esprimono la passione per la scrittura, l'entusiasmo genuino per la letteratura e li trasmettono al lettore, cui resta solo da mettersi al lavoro.






sabato 20 dicembre 2008

Guerre Personali

Chiunque ha le sue battaglie da combattere. Non una, tante.
Battaglie quotidiane per sopravvivere e battaglie apparentemente più frivole, basate sulle proprie fissazioni.

Io mi batto contro i deodoranti per interni.
Non sopporto l'idea, tanto per cominciare, che per non avere puzza in casa si debba usare un'altro odore, artificiale e penetrante per coprirlo, anzichè aprire la finestra e far uscire così gli effluvi venefici.

Poi, non vedo come gli odori inventati da madre natura, per quanto sgradevoli, vadano demonizzati. Fino a qualche tempo fa c'era una pubblicità con un bambino che seduto sul water si tappava il naso dopo aver evacuato e diceva "Che puzza!"; ebbene, la cacca puzza, così è e così sempre sarà, vogliamo farne un dramma? Apri la finestra e vedrai che l'odoraccio se ne andrà in un battibaleno senza spruzzare schifezze.

I deodoranti per interni sono strapopolari in Inghilterra, dove la pulizia è notoriamente un optional, la moquette regna sovrana e più che spesso girano per casa animali pulciosi e poco puliti. In forma di pout-purri floreale, o di spray sempre una mascheratura di scarsa pulizia sono...

E vogliamo parlare delle "fragranze" di questi mefitici affari? Fragole di bosco, Narcisi alla cipria, Ciliege Giapponesi, una serie di nomi stucchevoli per odori finti, penetranti e dolciastri che rischiano di soffocarti...Ricordo un Arbre Magique alla vaniglia che quasi mi ha ammazzato...E nell'ascensore di casa mia c'è una scatoletta che emana un effluvio letale che commisto alla puzza di umido del tappeto ti fa arrivare al piano boccheggiante.

Ultima ma non ultima la questione ecologica: quando sono esauriti, che fine fanno tutti questi "emanatori", spruzzatori, "diffusori elettrici"? Nella spazzatura, quasi mai nel riciclo, così oltre ad inquinare chi li usa inquinano il resto del mondo, i delfini, le balene etc.

Al di là del fastidio che provo per questi oggetti assolutamente inutili, espressione di una civiltà che si inventa problemi inesistenti per tenersi occupata e lucrare in modo discutibile, trovo che l'idea di sostituire agli odori veri, della vita vera, odori finti, totalmente chimici, abbia una qualità inquietante, come di schifo della realtà, di ricerca di una realtà alternativa e del tutto fittizia in cui le cose minimamente sgradevoli vengono annullate e sostituite.

"I deodoranti per ambienti possono rilasciare nell'aria sostanze organiche volatili, fra le quali ve ne sono alcune i cui effetti dannosi sono noti come irritanti per occhi, naso, gola, allergizzanti se inalati o addirittura sospettate di cancerogenicità, mentre per altre sostanze gli effetti sono ancora sconosciuti" (www.ministerosalute.it/saluteChimica)

Avanti miei prodi, pugnamo contro lo terribile nemico!

venerdì 12 dicembre 2008

Muzik non stop


Quando qualche giorno fa un mio amico ha scoperto che da molto tempo non ascoltavo più musica durante gli spostamenti sui mezzi pubblici è trasecolato: lui è un tossicodipendente musicale, bisogna ammetterlo.
Però, mi son messa a pensare: come mai un'abitudine consolidata attraverso l'adolescenza, sui treni per andare e tornare da scuola, sui metrò per incontrare gli amici, si è interrotta, e per così tanto tempo(5 anni)?
Mah, fatemici pensare. In primo luogo avevo appena lasciato una persona alla quale volevo molto bene, che amava molto il rock e con cui si parlava spesso di musica, avevamo anche dei gusti in comune...Dunque avevo bisogno di allontanarmi da quei suoni...Oltretutto l'isolamento e la suggestione della musica mi portano spesso a vivere delle storie tutte mie e a sprofondare in pensieri più o meno cupi...meglio di no in certe circostanze.
Poi, avevo da poco (ma già troppo) un nuovo lavoro e una casa in una nuova città. Forse senza accorgermene volevo impossessarmi anche dei suoi suoni: ho scoperto il gusto di ascoltare le conversazioni altrui e farmi delle storie sui brandelli di discussioni o racconti personali. E' una delle mie attività da ATM preferite, insieme a spiare i titoli dei libri che leggono gli altri passeggeri.
Ma era anche un modo per entrare a far parte della vita. Non che sia particolarmente eccitante la mattina, aggirarsi per le carrozze del metrò carico di gente insonnolita, ma può essere divertente e istruttivo, scoprire un personaggio. E a volte non ce la fai proprio ad isolarti completamente, a volte hai bisogno di sentirti accomunato agli altri, foss'anche da un percorso urbano di poche fermate.

Col tempo si sono aggiunti altri fattori, come la comparsa dell'MP3, un aggeggio che ormai chiunque sfoggia con truzza disinvoltura, ma che sembra spesso un oggetto che "lo uso perchè ce l'ho, perchè fa figo averlo" e a giudicare dalle musiche che mi capita di sentire, sono bit sprecati.
Senza contare l'effetto "Mondo Nuovo" o "Grande Fratello", di controllo delle menti che dà vedere tante persone che ascoltano le loro cuffiette con aria assente, o i ragazzini che addirittura parlano con un auricolare sempre infilato nell'orecchio.
Snobismo da parte mia o impressionabilità, ho mollato anche per quello.

Infine ho sempre più bisogno di silenzio, a casa, fuori casa...a volte la musica può essere di troppo, e forse non è un caso che in questi anni i libri siano diventati una passione sempre più forte e non esca mai senza almeno un tascabile a farmi da talismano nella jungla milanese. C'è troppo rumore intorno a noi, disturba il pensare.
In questi giorni comunque ho ricominciato ad ascoltare il mio ormai superato cd player, ingombrante, poco pratico...Vediamo fin dove arrivo...

lunedì 8 dicembre 2008

L'amore degli altri




De "Le vite degli altri" avevo molto sentito parlare lo scorso anno, e molto bene.
Come al solito in ritardo (un compagno che non ama andare al cinema è un deterrente abbastanza efficace) l'ho visto e rimasta sorpresa, non mi aspettavo un film così bello.
E' la storia di Gerd Wieler, agente della Stasi (il servizio di spionaggio della DDR) che riceve l'incarico di sorvegliare una coppia di artisti; ascoltandoli si appassiona alla loro vita fino a diventarne un protagonista attivo.
Ora, mi rendo conto che il paragone sia un pò azzardato, ma non ho potuto fare a meno di trovare delle similitudini tra questo film e "Le conseguenze dell'amore" di Paolo Sorrentino.
A livello stilistico c'è in entrambe una certa asciuttezza e sobrietà, anche se paradossalmente "Le conseguenze..." è molto più minimale e claustrofobico. Per quanto squallida potesse essere la vita nella Germania Est degli anni 80' c'è sicuramente più aria, più spazio e più luce e i colori sono appena più vivi nel film tedesco.

Entrambe i protagonisti vivono in camere minuscole, anonime, dominati dalla routine che nasconde una solitudine dolorosa. Si nascondono dietro la freddezza di atteggiamenti composti ed efficienti, ma qualcosa incrina la loro campana di vetro e li costringe a rimettersi in gioco, a rischiare, a perdere tutto. Quel qualcosa è l'amore.
Lo scoprono attraverso lo spiare, l'ascolto degli altri e vi riconoscono qualcosa che a loro è negato. Così vi si mettono al servizio: Titta di Gerolamo cercando in realtà la morte, l'agente Wiesler tentando di salvare qualcosa di bello in modo disinterressato, puro.

Il loro agire è apparentemente insensato (anche se Wiesler riesce a salvarsi pur subendo una punizione), li porta a sacrificare la tranquillità, la realtà odiosa ma certa di destini tutto sommato squallidi per un ideale favoleggiato in libri film e canzoni, che loro una volta nella vita incontrano e (soprattutto) sanno riconoscere.

Ci piacciono uomini come questi, vorremmo avere il coraggio di essere come loro e mandare tutto a quel paese, una volta tanto, per quest'ideale.

Everybody wants to be Mark Lanegan


Una voce che gratta come carta vetrata, alimentata senza dubbio alcuno a bourbon e paglie. Personalità che trasuda anche dalle foto delle riviste. Un percorso musicale che inizia nella seconda metà degli ottanta con la cult band degli Screaming Trees, caratterizzata da un sound hard rock psichedelico tipico dei settanta, che al culmine della carriera, nel 92, viene inserita di straforo nel movimento grunge con il penulltimo album del combo: Sweet oblivion.


Il commiato definitivo dalle scene sarà quattro anni dopo, ma intanto Lanegan ha cominciato a costruirsi un percorso in solitaria, praticando uno stile diverso, acustico e introverso, da poeta maledetto. Winding sheet (1990) e Whiskey for the holy ghost (1994) vengono molto apprezzati dalla critica e cominciano a creare quello zoccolo duro di die hard fans che l'americano si porta dietro tuttora.

Seguono, i sempre più convincenti Scraps at midnight (1998); I'll take care of you (album di cover, 1999) e il più ispirato del lotto, a parere di chi scrive, Field songs (2001).


Nel 2002 Mark partecipa all'acclamato Songs for the deaf dei Queens of the stone age, seguendo il gruppo anche in tour. L'anno successivo esce a suo nome l'EP Here comes that weird chill, che anticipa l'album Bubble gum (2004) lavoro lungo e più vario nel sound rispetto ai precedenti.


Lanegan, a questo punto della sua carriera dà vita ad una serie di collaborazioni con diversi amici, che vanno ancora dai Queens of the stone age, a Greg Dulli (ex degli Afgean wigs), con il quale forma i Gutter Twins, che si esibiscono tra l'altro con gli italiani Afterhours in alcune date del loro tour del 2006, partecipa insieme a Josh Haden degli Spain e al grande Will Oldham, al secondo capitolo del progetto Soulsavers (2007), ragione sociale del duo Rich Marin e Ian Glover. Pubblica infine due dischi (2006 e 2008) con la parte femminile del duo scozzese Belle & Sebastian, Isobel Campbell, proponendo uno stile che a più di un ascoltatore richiama i duetti tra Johnny Cash e la moglie June Carter.


Playlist consigliata:


1


1. ( Screaming trees, sweet oblivion) shadow of the season
2. ( ") nearly lost you
3. ( ") the socres kind
4. ( ") julie paradise
5. ( The winding sheet) mockinbirds
6. ( " ) i love you little girl
7. ( " ) winding sheet
8. ( " ) where did you sleep tonight
9. ( " ) museum
10. ( Whiskey for the holy ghost) house a home
11. ( " ) the river rise
12. ( " ) dead on you
13. ( Scraps at midnight ) stay
14. ( " ) last one in the world
15. ( " ) because of this
16. ( " ) day and night
17. ( I'll take care of you) i'll take care of you
18. ( " ) badi-da
19. ( " ) boogie boogie


2


1. ( Field songs) don't forget me
2. ( " ) field songs
3. ( " ) no easy action
4. ( Here comes that weird chill) lexington slow down
5. ( " ) sleep with me
6. ( Bubblegum) when your number is up
7. ( " ) hit the city
8. ( " ) out of nowhere
9. ( Ballad of the broken seas, with isobel campbell) deus ibi
10. ( " ) ballad of the broken seas
11. ( The Soulsavers, it's not how far you fall, it's the way you land ) revival
12. ( " ) ghosts of you and me
13. ( " ) kingdoms of rain
14. ( " ) jesus of nothing
15. ( Gutter twins, saturnalia) all misery flowers
16. ( " ) front street
17. ( " ) i was in love with you
18. ( " ) the stations
19. ( Sunday at the devil dirt, with isobel campbell) Come on over
20. ( " ) salvation
21 . ( " ) seafaring song

venerdì 5 dicembre 2008

Dialoghi bui

Bulletto-Mio papà si vuole comprare la calibro nove, perchè lui c'ha il porto d'armi...
Titta-A me fanno paura le armi da fuoco.
B-Perchè così se entra uno zingaro in casa a rubare gli spara in testa, e cc'ha raggione!
T-Ma sei proprio sicuro che vengano gli zingari a rubare da te?
B-No, è vero, non sono mai venuti! Non possono entrare!
T-...

Poco più tardi:

B-Massì, perchè Al Quaeda vuole attaccarci! Hai sentito dei due terroristi?
T-Sì. Ho sentito dire che volevano colpire l'Esselunga, e un bar...
B-Però senti...
T-Si?
B-Al Quaeda è il successore di Bin Laden?

Hands

Ci sono due canzoni di quest'anno che mi hanno emozionato parlando in maniera poetica delle mani e del rapporto che esiste tra le proprie e quelle di altri membri importanti della famiglia. La prima, in ordine cronologico, è stato un passagio nel pezzo di Lorenzo Cherubini, l'ormai stranoto Fango, un brano che ha, a mio avviso, dei momenti di grande ispirazione poetica accompagnati purtroppo da alcune cadute di stile da canzone d'amore media italiana, che insomma non è gran che. Il passaggio che mi ha fulminato fino a commuovermi è il seguente:

(...) un uomo guarda la sua mano
sembra quella di suo padre quando da bambino
lo prendeva come niente e lo sollevava su
era bello il panorama visto dall'alto
si gettava sulle cose prima del pensiero
la sua mano era piccina ma afferrava il mondo intero (...)

Poi, ed è storia recentissima, c'è questa canzone suggestiva di Moltheni, artista italiano che non conoscevo, e che sono stato spinto ad ascoltare dagli amici blogghisti. E' Vita rubina, struggente ballata chitarristica, giocata sul filo della malinconia. In questo caso il brano regge la tensione per tutta la sua durata, baciato da una buona ispirazione del suo autore. Meriterebbe la pubblicazione completa, ma essendo questo un post a tema, mi limito :

(...) ho rivisto quelle estati infinite col mio amico Gigi
con il sole che ci amava e ci baciava i piedi scalzi

ho rivisto mio fratello e le sue mani buone
quelle mani adulte che lo so, io non avrò mai,

ho rivisto le città che non mi sono appartenute
i miei anni come ombrelloni chiusi in piena estate (...)

Insomma, io non ho fratelli, ma tante volte ho osservato dei particolari di mio padre, pensando che li avrei ereditati una volta adulto e constatando invece che così non è stato. Quelle di Moltheni e Jovanotti sono parole che mi scatenano immagini più nitide di una fotografia, che ci riportano indietro nel tempo, da bambini dentro la nostra vecchia casa, con i genitori e la famiglia, che ci cullano nel ricordo di quanto era dolce essere figli, e quanto è più difficile essere padri.

martedì 2 dicembre 2008

Eracle (di Euripide)

Megara- Tu vuoi Soffrire. Tanto ami la vita?
Amfitrione- Certo. Mi piace. Ed amo la Speranza.
Megara- Anch’io. Ma come credere all’assurdo?
Amfitrione- E’ già un rimedio, nei mali, il rinvio.

Piano Meccanico!



Abbiamo tra le mani il primo romanzo di Kurt, Kurt Vonnegut, scritto quando (credo) faceva il pubblicista per la General Motors e non aveva il becco d’un quattrino; era un reduce di guerra con famiglia e detestava con tutto il cuore il suo lavoro.

In breve, la storia è ambientata in un futuro in cui “l’ultima guerra” è stata combattuta dall’umanità e il mondo è ormai in mano alle macchine: esse infatti si sono ormai appropriate della quasi totalità del lavoro, non solo “pratico” ma anche “intellettuale”. L’America è divisa in due, da una parte i tecnici, una casta vera propria di cui fanno parte coloro che le macchine le progettano: hanno tutti altissimi quozienti intellettivi, e molti (come il protagonista, Paul Proteus) sono a loro volta figli di tecnici, quelli che hanno vinto “l’ultima guerra”.
Il resto della popolazione è un gruppo di disperati dal basso qi, che fa lavori umili ma in compenso è fornito di tutti i comfort, dalla casa, all’arredamento, al forno a microonde, standardizzati, uguali per tutti. La loro è una vita assolutamente incolore, disprezzati dai tecnici per la loro occupazione e condannati dai loro dati personali a un futuro spaventosamente uguale al presente, senza possibilità di riscatto o di avanzamento sociale. Un destino che implacabile ricadrà sui loro figli.
Le macchine, col loro controllo forsennato di schede perforate e calcoli su un fin troppo prevedibile avvenire, tengono queste due classi separate, permettendogli d'incontrarsi di rado, quasi sempre su un ponte sul quale la macchina di uno dei primi deve aspettare che i secondi finiscano una riparazione.

Il libro è sostanzialmente un’esplorazione di questo “mondo nuovo” vista da due angolazioni, quella di Paul Proteus, tecnico lanciato dal suo nome sulla rampa di una carriera sfolgorante, che però vive distrattamente, con rassegnazione il successo e la ricchezza e da essi si distaccherà prima mentalmente e poi fisicamente, man mano che attraversa per un’ultima volta i riti della società meccanica; e quella del raja di Bratpur, in visita negli Stati Uniti, insieme suo traduttore Khashadr Miasma e al loro anfitrione americano.
L’uno la spalla, gli altri i comici, assistono alla raccapricciante esistenza degli americani: da una parte i ricchi che vivono come bambini giganti superviziati tra cocktail, cene di lavoro, assurdi campi dove si svolge una specie di “Giochi senza frontiere”, cercando continuamente di convincersi che quello è il migliore dei mondi possibili e dall’altra una massa gigantesca di persone a cui è negata qualunque ambizione, tenute buone con la sicurezza degli oggetti e di una…vita tranquilla.

Anche se in maniera abbastanza inaspettata questo romanzo contiene già i germi di quanto sarebbe venuto dopo, la critica sociale, la guerra, l’umorismo letale di Vonnegut. Manca, è vero, la poltiglia temporale già evidente in “Le sirene di Titano” che caratterizza più o meno tutta l’opera meglio riuscita di Kurt.
Il disincanto e il pessimismo di un uomo che ha perso fiducia nel genere umano e nella sua redenzione, invece sono lì: il finale è piuttosto sconsolato, malinconico, ma anche cinico, e non potrebbe essere diversamente.

Consigliato vivamente a chi non ha mai letto niente di Vonnegut e ci si vuole avvicinare in modo soft, “Piano Meccanico” dà molto da pensare, sia a livello sociale, storico (molto attuale) che personale.

lunedì 24 novembre 2008

sabato 22 novembre 2008

Paying my dues

Titta: - che ne dici di Jimmy Smith?
Cosmic Kid: - chi è, uno antico?
Titta: - è il ciddì che ti ho dato l'altra volta, sigh!


Sono qui a scrivere, sigaretta in bilico tra le labbra, come un perfetto Keith Richards di periferia, sorseggiando caffè corretto Baileys, mentre dallo stereo mi arriva suadente un ah-mmm-mmm-mmm-mmm, che fatica ad avere la meglio su di un incredibile suono di hammond che impasta e mescola insieme tutti gli altri strumenti della band.


Pago volentieri il mio debito con Titta, questa è roba forte!


Ascolto questo disco e penso a Jimmy Smith come a un clone con l'organo di John Lee Hooker, o più in generale del delta blues, poi, siccome non mi piace essere preso in castagna, vado su wikipedia per farmi un'idea più definita, e scopro che ha inciso più dischi di Frank Zappa, che era alla Blue Note, che è nato nel 1911 ed è morto nel 2003 (toh, lo stesso anno di Johnny Cash).


Questo disco raccoglie due sue album, Got my mojo workin' e Hoochie Coochie man e contiene dei veri piece de resistance, quali le fantastiche title tracks, Johnny come lately, Boom boom e TnT, perlomeno.


E' uno di quei dischi che ti fanno sentire figo, che ti permettono di mettere le orecchie su roba che non è per tutti, che ti puoi vendere con gli amici, quando si arriva al momento in cui ci si bulla delle reciproche esclusive musicali. I tasti dell'hammond quale arma letale: "E voi lo conoscete Jimmy Smith?"


E' bello essere dei dinosauri, rise your glass for The Incredible Jimmy Smith!



venerdì 21 novembre 2008

Johnny Cash!


Pubblico il raccontino col quale ho vinto alla trasmissione "Jalla!Jalla!" di Radiopopolare il cofanetto "Johnny Cash at Folsom" Prison....IIIIIIH AH!

"90"

Johnny Cash salì sulla 90 con tanto di cappottone e custodia della chitarra. Rimasi un po’ stupita.
Lui era proprio in testa, tutto vestito di nero spiccava paurosamente in mezzo alla folla variopinta.
Molti si girarono a guardarlo, mentre cercava un biglietto nelle tasche dei jeans, ammirando la sua eleganza.

Ero a bocca aperta. Di solito quando vedo una persona nota per la strada cerco di fingere che sia un palo della luce, un po’ per discrezione, un po’ perché non avrei comunque molto da dire, anche se è qualcuno che ammiro. Ma Johnny Cash è categoria A, lui val bene lo sputtanamento, lui lo volevo almeno vedere da vicino. Poteva anche essere un’allucinazione, dopo tutto.

Così cominciai a risalire la corrente dell’autobus, lentamente. Appena superata la prima vettura, le ruote del mezzo passarono su un grosso buco, facendo schiantare col contraccolpo tutto il suo contenuto umano. In men che non si dica fui a fianco di JOHNNY CASH! Accipicchia, era proprio lui.

Aveva le dita inanellate, una cravatta di cuoio e la fibbia della cintura d’argento; l’espressione però non era quella di una leggenda del country, bensì di un uomo che ancora non ha trovato il biglietto del tram.
Infatti non aveva ancora smesso di passare le mani da una tasca all’altra tirandone fuori bigliettini di ristoranti, qualche dollaro o il necessario da cucito di qualche motel.

D’improvviso mi resi conto di una presenza dall’altro capo dell’autobus, proprio in fondo.
-Hei, tu!- gridò la presenza –Ce l’hai il biglietto?
Alzai la testa. Era il controllore. Aveva l’aria cattiva. Aveva l’aria feroce. Aveva puntato Johnny quando l’aveva visto cercare il biglietto e SAPEVA che non l’aveva ancora trovato.

Johnny lo fissò. Il controllore fissò Johnny. Nella vettura calò il silenzio. Tutti si schiacciarono contro le pareti, in braccio ad estranei, sugli scalini delle uscite: stava per scoppiare l’inferno.

Cash continuò a fissare il controllore. Quello fece lo stesso e si mise i pollici nella cintura.
-AAAlloraaa, ce l’hai il biglietto?- ripetè con voce vagamente stridula
-Perché non vieni a controllare?- rispose finalmente Johnny col suo vocione
-Sicuro…sulla piattaforma!
E cominciarono ad avanzare, lentamente senza mai staccarsi gli occhi di dosso. Quasi tutti, nel tentatio di scongiurare lo scontro stavano cercando nelle tasche, in borsa, un biglietto da prestare all’uomo in nero, ma dato che eravamo in molti a scroccare non servì a granchè.

Ormai i duellanti erano quasi arrivati al luogo convenuto, quando ci furono continuarono a fissarsi a lungo. Poi il controllore ghignò nuovamente:
-Allora, ce l’hai il biglietto?
Johnny sorrise appena. Alzò la mano sinistra e per un istante tutti pensarono che gli avrebbe sferrato un cazzottone. Invece gli mostrò una carta. Un asso di picche. Gliela lanciò addosso e quando arrivò in mano all’altro era un biglietto dell’ATM regolarmente timbrato e ancora valido.
-Ma…ma…-mormorò il controllore sbalordito, almeno quanto il resto dei passeggeri.
Johnny gli voltò le spalle e tornò alla sua chitarra, che lo aspettava in testa.

Subito dopo i passeggeri si riversarono urlanti nel corridoio, afferrarono il controllore per mani e piedi e lo incaprettarono con un pigiama di flanella comprato da una signora filippina al mercato
A questo punto ci voleva una canzone, e Johnny lo sapeva. Barcollando appena nonostante i curvoni parabolici affrontati dall’autobus aprì la custodia, tirò fuori la sua chitarra (nera) e attaccò “Ring of Fire”!
Provocando battimani, cori e danze sulla )90 che correva sobbalzando verso il tramonto di cemento della circonvallazione…

Titta 2008

sabato 15 novembre 2008

Wild & free (in progress)


Pubblico questo mio brevissimo racconto anche se è ancora in corso di aggiustamento. Semmai vedrà la luce una sua versione riveduta e corretta, posterò anche quella. Grazie a Titta per il suo determinante contributo.

WILD & FREE



Like a true nature's child
We were born, born to be wild We can climb so high
I never wanna die Born to be wild Born to be wild

STEPPENWOLF, Born to be wild


You know the first time I traveled hard
Out in the rain and snow - In the rain and snow,

You know the first time I traveled hard
Out in the rain and snow - In the rain and snow,
I didn't have no payroll, Not even no place to go.

CANNED HEAT, On the road again



Non ho molto tempo. Mi hanno beccato e li sento, stanno arrivando a finire il lavoro. Non che faccia molta differenza a questo punto, con tutto il sangue che sto perdendo non sopravvivrei comunque più di qualche ora .

Non mi sono accorto di nulla fino a che non è stato troppo tardi…
Ero con gli altri, viaggiavamo in gruppo, più veloci che potevamo, stretti gli uni agli altri cercando di proteggerci a vicenda. All’improvviso un rumore sordo e una vampata rossa, neanche dolore. Ho visto i compagni allontanarsi e me stesso a terra in questo campo di tarassaci.
Subito i comandi dei nemici alle bestie infernali, i loro latrati sempre più vicini.

Nessuno tornerà indietro per me, sarebbe un suicidio collettivo. Lo so, lo capisco, è da quando siamo piccoli che ci spiegano come funziona ma in questo momento, scusate l’egoismo, lo trovo di una crudeltà e di una vigliaccheria intollerabili.

Dicono che in questi momenti ti passi tutta la vita davanti agli occhi: beh, a me non sta succedendo. Non riesco a credere che le interiora e la merda sparse a terra siano le mie, ecco a cosa penso. Ad ogni modo, dovessi avere un flashback della mia esistenza, di certo i momenti che ricorderei con più nostalgia sarebbero quelli dell’infanzia.

Eravamo in cinque, non facevamo che giocare…Mamma è stata la prima cosa di questo mondo che abbiamo visto. Era sempre vicina, ci sfamava, ci proteggeva, ci insegnava a muoverci, a nuotare, a procacciarci il cibo, a vivere insomma.
Il distacco non è stato particolarmente doloroso, eravamo pronti, un po’ l’agognavamo anche, l’emancipazione.
Poi i primi viaggi. Interminabili e faticosissimi. Tra mille pericoli e contro i predatori, dotati spesso di lingue di fuoco e denti d’acciaio che si andavano a conficcare nelle nostre carni indifese.
Fratelli e compagni caduti. Abbiamo sempre tirato dritto, più veloce di prima, spinti dalla paura e dall’istinto di sopravvivenza.

Ho vissuto troppo poco, cazzo. Possibile che nessuno di noi muoia per cause naturali, per vecchiaia, o per un indolore infarto notturno, in una grande casa, circondati da rumorosi nipotini, in un posto caldo, finalmente stabile, senza bisogno di spostarsi in continuazione?

E’ la catena alimentare, mi ha spiegato una volta una vecchia zia. Noi non stiamo messi bene, ma c’è chi sta peggio. Perlomeno noi siamo liberi, c’è chi passa l’intera esistenza in prigione, in celle così piccole e affollate che non c’è nemmeno lo spazio per allargare gli arti. Senza ora d’aria. Condannati a mangiare e cagare nello stesso punto. Tutta la vita. Che, certo, non è lunga. Ma nemmeno corta abbastanza.

Ne ho visti di questi campi di concentramento, nella mia vita . Cristo santo, non farmici finire mai, ho pregato ogni sera della mia vita. Beh, almeno in questo sono stato accontentato.

Questo e il senso impagabile di leggerezza, di libertà, di indipendenza. Aveva ragione la mia vecchia zia. Non esiste nulla al mondo che valga quanto un cielo aperto e due ali per solcarlo.

E’ finita, mi hanno trovato. Sento che mi afferrano penetrandomi le carni. Mi trasportano, avverto il loro alito fetido, il loro ansimare disumano. Non ho più forze. Mi lasciano ai loro padroni. Quelli mi sollevano in alto. Li sento parlare tra loro.

- Hey Jack, guarda qui! Non è il più grande figlio di puttana d’un fagiano che tu abbia mai visto?!?


venerdì 14 novembre 2008

Miriam e Mitch

Miriam e Mitch...il mondo era un posto migliore con voi...So long...


martedì 11 novembre 2008

Della bellezza dell'influenza


Eh sì, che ci crediate o no, io ci trovo del buono anche nell'influenza.

Non che sia un tipo particolarmente ottimista o che il buddismo col suo "tutto serve" mi dia particolare sollazzo (anche se alla fine c'è del vero).Si parla, ovviamente di una situazione "normale", senza complicazioni: comincia con un raffreddore, o vomito, o una punta di diarrea, la mattina sei al lavoro e la sera ti trovi stesa/o a letto con enormi difficcoltà respiratorie o crampi al pancino. TING! Terzo round, sei steso al tappeto.

Da quel momento per qualche giorno tutto il tuo mondo si ferma, niente lavoro, niente aperitivi, cene, appuntamenti, al massimo la tv e la radio. Niente orari, niente colloqui, solo le coperte, le aspirine e se hai fortuna le coccole del partner (o della mamma). E questo è già una bella cosa, il tuo compagno/a che si fa in quattro per te e ti porta da bere, ti fa da mangiare, si preoccupa per te e soprattutto non ti chiede di fare niente. Sei malata/o e quindi non hai l'obbligo di fare le pulizie, cucinare..Nà bellezza.

Il letto diventa la tua piccola isola, a cui arrivano ovattate e lontane le notizie del mondo: non hai tempo per preoccuparti del globo terracueo, devi pensare a te stesso.All'inizio stai proprio male, ti bombi di aspirine, spray nasali, vari filtri magici portati da amici e parenti. Dormi da schifo e continui a svegliarti.

Non devi più sceglierti gli abbinamenti di vestiti per uscire, puoi stare in pigiama, per casa, tutto il giorno. Non devi farti la barba, non devi strapparti le sopracciglia, truccarti, pettinarti; non più controllati giornalmente i peli cominciano a crescere un pò dovunque, recuperando lo spazio tolto loro da rasoi, cerette pinzette: ogni meravigliosa sciatteria è permessa.

E ci si riappropria dei propri odori, di solito eliminati, espulsi, controllati da portentosi bagnoschiuma e deodoranti per buona educazione e volontà di bene apparire. Si sa, con la febbre non si possono fare troppe docce. Il sudore e il tanfo del molto stare al chiuso sotto le coperte e tutte le varie puzze dall'alito cattivo del malato alle inevitabili scoregge ci assalgono, riportandonci improvvisamente alla nostra più banale e perfino un pò sgradevole fisicità, qualcosa che l'uomo moderno coi suoi modelli d'infame perfezione vuole dimenticare.

Per poco tempo sembra non dover finire mai. Invece in un niente migliori. Passa la febbre, il naso si sblocca, si blocca lo sbocco. E come migliori senti che il tuo corpo è bello rilassato, molle e senza tensioni, come se avesse ceduto alla forza dell'influenza. Anche il mondo, lo vedi con più filosofia, le passioni sono sbiadite, non più così importanti, le persone (alcune perlomeno) non più così cattive.

Per me è questo il momento migliore, perchè puoi già metterti a leggere o a guardare la tv, ma godi ancora di quella pace, quel magico isolamento dalla psicosi quotidiana e dai troppi contatti umani che ti permette di rigenerare minimamente il tuo essere profondo, la tua pace interiore. Ti alzi e provi una leggera vertigine, ma ti reggi sulle gambe un pò molli.
Ti senti pacificata e puoi osservare il mondo con un occhio benevolo e distaccato.
Purtroppo dura poco. In capo a pochi, ormai pochissimi giorni ti trovi di nuovo nella grande centrifuga milanese, a correre dappertutto e non aver mai tempo per far niente.

La faccia è perfetta, gli odori sono scomparsi, sei di nuovo nel ciclo produttivo, sei di nuovo "normale".

Così è la vita.

mercoledì 5 novembre 2008