martedì 2 dicembre 2008

Piano Meccanico!



Abbiamo tra le mani il primo romanzo di Kurt, Kurt Vonnegut, scritto quando (credo) faceva il pubblicista per la General Motors e non aveva il becco d’un quattrino; era un reduce di guerra con famiglia e detestava con tutto il cuore il suo lavoro.

In breve, la storia è ambientata in un futuro in cui “l’ultima guerra” è stata combattuta dall’umanità e il mondo è ormai in mano alle macchine: esse infatti si sono ormai appropriate della quasi totalità del lavoro, non solo “pratico” ma anche “intellettuale”. L’America è divisa in due, da una parte i tecnici, una casta vera propria di cui fanno parte coloro che le macchine le progettano: hanno tutti altissimi quozienti intellettivi, e molti (come il protagonista, Paul Proteus) sono a loro volta figli di tecnici, quelli che hanno vinto “l’ultima guerra”.
Il resto della popolazione è un gruppo di disperati dal basso qi, che fa lavori umili ma in compenso è fornito di tutti i comfort, dalla casa, all’arredamento, al forno a microonde, standardizzati, uguali per tutti. La loro è una vita assolutamente incolore, disprezzati dai tecnici per la loro occupazione e condannati dai loro dati personali a un futuro spaventosamente uguale al presente, senza possibilità di riscatto o di avanzamento sociale. Un destino che implacabile ricadrà sui loro figli.
Le macchine, col loro controllo forsennato di schede perforate e calcoli su un fin troppo prevedibile avvenire, tengono queste due classi separate, permettendogli d'incontrarsi di rado, quasi sempre su un ponte sul quale la macchina di uno dei primi deve aspettare che i secondi finiscano una riparazione.

Il libro è sostanzialmente un’esplorazione di questo “mondo nuovo” vista da due angolazioni, quella di Paul Proteus, tecnico lanciato dal suo nome sulla rampa di una carriera sfolgorante, che però vive distrattamente, con rassegnazione il successo e la ricchezza e da essi si distaccherà prima mentalmente e poi fisicamente, man mano che attraversa per un’ultima volta i riti della società meccanica; e quella del raja di Bratpur, in visita negli Stati Uniti, insieme suo traduttore Khashadr Miasma e al loro anfitrione americano.
L’uno la spalla, gli altri i comici, assistono alla raccapricciante esistenza degli americani: da una parte i ricchi che vivono come bambini giganti superviziati tra cocktail, cene di lavoro, assurdi campi dove si svolge una specie di “Giochi senza frontiere”, cercando continuamente di convincersi che quello è il migliore dei mondi possibili e dall’altra una massa gigantesca di persone a cui è negata qualunque ambizione, tenute buone con la sicurezza degli oggetti e di una…vita tranquilla.

Anche se in maniera abbastanza inaspettata questo romanzo contiene già i germi di quanto sarebbe venuto dopo, la critica sociale, la guerra, l’umorismo letale di Vonnegut. Manca, è vero, la poltiglia temporale già evidente in “Le sirene di Titano” che caratterizza più o meno tutta l’opera meglio riuscita di Kurt.
Il disincanto e il pessimismo di un uomo che ha perso fiducia nel genere umano e nella sua redenzione, invece sono lì: il finale è piuttosto sconsolato, malinconico, ma anche cinico, e non potrebbe essere diversamente.

Consigliato vivamente a chi non ha mai letto niente di Vonnegut e ci si vuole avvicinare in modo soft, “Piano Meccanico” dà molto da pensare, sia a livello sociale, storico (molto attuale) che personale.

2 commenti:

cosmic kid ha detto...

Dopo questa rece, è come se l'avessi letto.
Posso passare ad altro :-)

Ms Rosewater ha detto...

dici che ho scritto troppo? Non va bene per una recensione...