giovedì 26 aprile 2018

martedì 6 febbraio 2018

Of gloves and saliva


Basta seguire una partita di calcio in televisione, di qualunque categoria, di qualunque Paese, per avvedersi della disgustosa abitudine che hanno i portieri di ciccarsi (tradotto sputarsi) sui guanti. La ragione di questo rito è inspiegabile e ignota, soprattutto a certi livelli dove le attrezzature tecnico sportive sono all'avanguardia e di certo non necessitano di alcun fluido corporeo per migliorarne le prestazioni. 

So invece molto bene come ho imparato, a mie spese, questa abitudine. E non è stato alla televisione, ma in uno dei tanti campetti di periferia che ho calpestato in gioventù, prima del fischio di inizio della partita, quando, in piena esaltazione pre-gara ho dato il cinque a tutti i compagni chiudendo in bellezza con il portiere, il quale, dopo il virile cerimoniale, vedendo il mio disgusto, ha tentato di scusarsi quasi fosse stato improvvisamente colpito da eiaculazione precoce. 
Il mio livello di comprensione, con la mano che grondava altrui saliva, è stata la medesima del partner abbandonato sul più bello.

lunedì 15 gennaio 2018

Cronaca vera


Ieri al supermercato. Reparto ortofrutta.
Coppia di cinquantenni, lui tizio comune, lei messa giù modello Scianel di Gomorra.
Lui, tono di voce sostenuto: "certo che con tutti i programmi di cucina che guardi, ancora non hai imparato a cucinare un cazzo!"
Lei, sorriso forzato: "eh va beh..."
Lui, smargiasso: "Io invece con tutti i porno che ho guardato sì che ho messo a frutto gli insegnamenti..."
Lei, con aria indifferente, mentre soppesa le lattughe: "Mah, insomma..."


venerdì 11 ottobre 2013

Domande

Uno:
Suona il telefono. Rispondo:
"Buongiorno Signora, le parlo a nome della ditta Pincopallino. Lei usa creme naturali? Quali marche predilige?"
Due:
Mentre rientro a casa un giovane dall'accento straniero, con un vestito grigio e una targhetta col nome attaccata al taschino mi si avvicina:
"Buonasera Signora, lei crede che questa esistenza abbia un senso?"

Ma dico, come vi permettete di rivolgermi domande personali così, senza neanche esserci presentati?

mercoledì 2 ottobre 2013

Chartz (#1)

Per me una vera e propria dipendenza.
 
La top 3 delle patatine:
 
3) Pringles: nemmeno scoprire come le producono (in pratica le sbriciolano per poi ricomporle nella forma perfetta che troviamo all'interno dei tubi) me le ha fatte abbandonare. Gusto preferito sour cream. Apprezzabili anche nella versione multigrain.
 
2) Kettle: la new entry. Si presentano male (come colore e forma), ma hanno una varietà di sapori intrigante. Gusto preferito sweet chilli & sour cream. Fascia di prezzo medio alta.
 
1) San Carlo: Sempre le migliori, anche per il rapporto qualità/prezzo. Gusti preferiti quelli della linea Highlander, le Più Gusto (pomodorini di stagione; lime e pepe rosa) e le rustiche.
 


mercoledì 25 settembre 2013

Da zero a cento (#1)

Quanto vorrei possedere una moto, proprio qui e adesso: 78.

venerdì 20 settembre 2013

Bug's season

Si è aperta la mini-stagione delle cimici. Occhio a quando chiudete le ante della finestra!

mercoledì 18 settembre 2013

I'm so anxious

Qualunque cassa scelga al supermercato si rivelerà sempre la più lenta, così come la fila al casello dell'autostrada o al bar di Milano nelle ore di pausa pranzo. Ce l'ho nel DNA.

lunedì 31 dicembre 2012

Bye Bye 2012

Non posso dire che quest'anno sia stato il peggiore della mia vita. Posso dire di averne visti di peggio e di meglio: ho ancora una specie di lavoro, la salute della famiglia è discreta, la relazione col mio uomo è stabile. Conosco persone che quest'anno sono rimaste disoccupate a cinquant'anni, altre che hanno visto improvvisamente la fine di un matrimonio che sembrava perfetto, persone che si sono ammalate, ma anche alcune che hanno avuto figli, e altre che hanno iniziato una carriera.
Però è stato duro, veramente duro. Nel 2012 ho abbandonato definitivamente illusioni che mi trascinavo dietro come degli ingombranti portafortuna da tantissimi anni, sulle persone, sul mio futuro. Mi sembra di aver lavorato per anni senza senso, di essere stata una stupida per un tempo infinito. Ora sono sveglia, e non mi aspetto che la mia vita cambi in qualcosa di fichissimo. Forse mi sono rassegnata. Suonerà melodrammatico, ma credo si adatti a come mi sento, non male ma neanche bene. Da una parte questa disillusione mi fa sentire meglio, non più speranze, anzi una sana diffidenza che ammanta tutto. Dall'altra mi sono ben presenti i motivi per cui sono arrivata a questa conclusione.
Così, addio 2012, non so se devo esserti grata o meno per questa consapevolezza, ma tra poche ore non sarà più un tuo problema.


lunedì 5 novembre 2012

The End is near enough

Ancora una volta uso questo spazio per lagnarmi del mio lavoro. Qualche anno fa, quando operavo in un istituto professionale mi lamentavo della mancanza di considerazione per il ragazzo sordo di cui mi occupavo, dei pregiudizi rispetto al suo handicap, del pessimo trattamento personale ed economico riservato a me.
Oggi, con un'esperienza ormai consolidata di assistente alla comunicazione, la mia visione è ancora più cupa e disfattista.
Quando mi avvicinai a questa professione (possiamo chiamarla tale?) ero piena di convinzioni idealiste, pensavo -speravo- che se avessi fatto bene il mio lavoro qualcosa si sarebbe mosso nel cosmo e tutti i problemi si sarebbero risolti, non solo per me ma anche per i sordi.
Sognando un'occupazione giustamente retribuita, un riconoscimento pubblico dell'importanza di quest'attività e un gruppo di lavoro appassionato che volesse veramente l'integrazione totale dei sordi, mi sono iscritta all'università ed ho frequentato decine di corsi disponibili sul territorio.
Purtroppo l'unico risultato al quale sono pervenuta è l'amarissima consapevolezza che mi ero ingannata, che sono proprio l'ultima fessa a credere in certe cose e che alla fine sono tutti sleali e decisamente impermeabili all'obiettivo di una società più giusta ed accogliente.

I motivi che mi hanno portato a questa conclusione sono molti. Se avrete la pazienza di proseguire la lettura li scoprirete.
Premetto che la mia esperienza è relativa al nord Italia, e all'area milanese. Il mondo dei sordi Italiani però è talmente piccolo e raccolto che alla fine girano sempre le stesse facce in determinati territori.
Dunque, la LIS (Lingua Italiana dei Segni) attira moltissime persone udenti che annualmente frequentano i corsi dell'ENS. Parte di queste persone cominciano a desiderare di continuare a praticare la lingua oltre il corso: qui scatta la trappola, perchè a scuola i ragazzi sordi segnanti hanno bisogno di un tramite linguistico che permetta loro di seguire le lezioni, l'assistente alla comunicazione, una persona che conosce la LIS ed è disposta a lavorare per pochi soldi. UAO, pensano le sventurate, lavorare coi sordi, continuare a segnare ed essere pure pagate! E si buttano a capofitto. Poi scoprono quanto segue:
1) L'assistente alla comunicazione, pur prevista dalla legge 104/92 De Facto non esiste. Nessuno sa esattamente cosa faccia, finchè non si mette a farlo, e a volte anche dopo. Questo è il primo anno in cui la Provincia di Milano ha previsto un contratto e se lo fate attraverso un CAF, questo contratto rientra nella categoria "collaboratrici domestiche"; alcune colleghe sono state contrattualizzate con livello B1, cioè quello delle bidelle. Questo crea confusione sul ruolo e sulle competenze, che vengono letteralmente acquisite sul campo esponendo i ragazzi sordi all'entusiasmo ma anche agli errori che una giovane assistente pur con tutto il suo impegno può fare. Non esistono nel territorio milanese corsi di formazione professionale seri (a Roma c'è addirittura un MASTER!) e comunque le assistenti sono manodopera a bassissimo costo, prendono meno di una donna delle pulizie, pur avendo una specializzazione (la conoscenza della LIS) ed essendo spesso laureate o comunque diplomate. Non ci sono scatti di carriera nè aumenti di stipendio, non c'è malattia nè maternità.
2) Mettete di fregarvene dei pochi soldi e delle difficoltà continue, mettete di voler migliorare la vostra professionalità, dovete cercarvi dei corsi di approfondimento delle tematiche della sordità. In una città come Milano ne potrete trovare diversi ma sono quasi tutti tenuti da associazioni e scuole private che vengono finanziate dalla provincia o dalla regione. Può andarvi bene, può andarvi male, ma dopo qualche tempo, se state attente, capirete che si ripetono sempre le stesse cose, che i docenti sono sempre gli stessi e che si cerca sempre di evitare il punto dolente dei corsi per interprete.
3) Sì, perchè se volete lavorare con i sordi sembra che ci siano solo due strade: o fare le schiave come assistenti alla comunicazione, assumendovi l'onere di mettere una pezza all'incompleta attuazione delle leggi sull'integrazione scolastica, oppure cercare di entrare nell'Olimpo delle interpreti LIS, una casta autoprotetta cui accedere è difficilissimo. Perchè? Perchè non c'è formazione! I sordi segnanti non sono abbastanza per tutti e se ci dovesse essere un corso che si ripete costantemente, in breve ci sarebbero troppe interpreti a spartirsi il mercato. A Milano l'ultima formazione si è conclusa circa tre anni fa e quella precendente era stata dodici anni prima. Il corso più vicino è in questo momento a Biella, in Piemonte. A Roma però il corso si fa ogni due anni. All'Università di Venezia invece sparano altissimo: hanno indetto un Master in traduzione in LIS a cui puoi accedere solo dopo la laurea. Si tende dunque a dare un'infarinatura minima di LIS alle interessate, allontanando da loro sempre di più l'obiettivo principe (diventare interprete) e lasciandole a disposizione del mercato di schiave, unica loro possibilità per lavorare coi sordi.
4)Essendo la LIS una lingua dei segni giovane e AHIME' non ancora riconosciuta ufficialmente (e questo per una serie di interessi politici ed economici di bassa lega), nonostante ci siano molti studiosi e linguisti italiani seri e noti all'estero, l'ambiente è fondamentalmente provinciale ed autoreferenziale. Ci sono dunque pochi "specialisti" che sono o si credono tali perchè (udenti) figli di sordi o perchè si sono trovati ad interessarsi della LIS in un periodo in cui nessuno ne sapeva nulla, quindi preparati (e ce ne sono) o no (e ce ne sono), hanno un nome. Queste persone costituiscono piccole enclave (di cui purtroppo anche i sordi fanno parte), che cercano di primeggiare le une sulle altre, sostenendo teorie più o meno corrette e mantenendo la poca conoscenza a disposizione dei loro adepti. Il risultato è che moltissimi di quelli che lavorano ad un certo livello con le persone sorde si odiano tra loro, non solo perchè non condividono le teorie altrui, ma perchè vedono nell'altro un concorrente con cui spartire i sordi disponibili.  Tutto ciò non giova, non solo ai diretti interessati, ma anche al progresso delle teorie didattiche. Tanto per dirne una, in Italia c'è ancora una divisione tra sordi segnanti e sordi oralisti, tra sordi con l'apparecchio e sordi con l'impianto cocleare. All'estero (negli Stati Uniti ad esempio) i sordi portano l'impianto cocleare e segnano, non ci sono contrapposizioni che sanno di faida. Non è un caso che noi si sappia sempre così poco di ciò che fanno all'estero, solo lasciandoci tutti nell'ignoranza i vari partiti (coclearisti, pro-LIS, oralisti etc.) possono continuare a spartirsi la torta, frammentando sempre di più l'offerta e tentando di accaparrarsi più sordi possibile. E anche se la sordità è un handicap complesso ed ogni individuo non è uguale all'altro, non è possibile che nel 2012 i genitori di bambini sordi debbano essere ancora prede dei vari opportunismi e non esista un protocollo d'azione per garantire uno sviluppo intellettuale e sociale armonico ai ragazzi sordi. Vedendo la piega che stanno prendendo le cose, e potendo prevedere che nel lungo periodo, vista la nazione stolta che siamo, si andrà verso una sempre maggiore medicalizzazione del sordo (leggi impianti cocleari), tutte queste ridicole divisioni sembrano ancora più patetiche: il Titanic della cultura e della lingua sorda affonda, ma c'è qualcuno che continua a  litigare sulla rotta da prendere.
5) A proposito di quest'ultimo punto devo infine dire che al di là di tutte queste cose deprimenti, forse la più deprimente di tutte è la mancanza di considerazione per ciò che un sordo può volere. Gli udenti pensano sempre di scegliere per lui, di scegliere il meglio, soprattutto quand'è un bambino. Allora questa scelta va sempre in funzione della presunta normalità a cui il bambino potrebbe aspirare ma che sicuramente il genitore desidera. Io di figli non ne ho, quindi probabilmente non posso capire la sofferenza di un genitore di bambino con handicap, ma credo che la cosa migliore che questi possa fare sia formire il suo piccolo di tutti gli strumenti a disposizione, lasciando che sia lui, crescendo, a decidere come vuole usarli e cosa vuole tenere. Certo, questo rappresenta una fatica, perchè il genitore è costretto ad essere più consapevole e fisicamente più partecipe, ed inoltre questa visione esclude scelte come l'impianto cocleare, che è -onestamente- l'unica cosa che non riesco ad accettare, perchè mi dà l'idea di una "riparazione". Il sordo non è guasto, è diverso, e la sua diversità è per me una ricchezza che mi costringe a vedere il mondo in modo diverso e più flessibile, facendo attenzione a cose diverse.

Ma come ho detto all'inizio, sono l'unica fessa a credere ancora a queste cose.

venerdì 19 ottobre 2012

Please master boss!

Che Mitt Romney sia un tipo poco raccomandabile lo si capisce anche solo guardandolo in faccia. Ry Cooder aggiunge però un tassello alla malvagia personalità del candidato alla presidenza USA. Lo fa dando voce a Mutt Romney, cane di Mitt, abbandonato lungo la strada...



Now boss Mitt Romney went for a ride 
Pulled up on a highway side 
Tied me down up on the roof 
Boss I hollered, woof woof woof 

 Please master boss! 
 Don’t look right, it don’t seem right 
Hot in the day, cold all night 
Where I’m goin’ I just don’t know 
Poor dog’s got to bottle up and go 

 Oh Mr Boss, cut me down! 

Woof, woof, woof 
 He had a ride, sure not ridin’ 
Poor dog he really had a ride 
He had a ride, sure not ridin’ 
Up on the rooftop here 
I’m sat Read more at 

venerdì 27 luglio 2012

Che barba!

E' da un pò di tempo che mi sfrucuglia l'idea di una barba alla boscaiolo americano. Quel tipo di corredo al viso che va molto anche tra i folk singers di ultima generazione, i bikers e i metallari. Ne aveva una fantastica il contrabbassista di Hank III che ho visto in concerto a giugno, oppure Opie (l'attore Ryan Hurst), uno dei protagonisti di Sons of Anarchy (quello della foto). E' chiaro che se lo facessi mi chiuderebbero (giustamente) fuori di casa. Mi resta la curiosità di sapere quanto tempo ci vorrebbe per coltivare un'estensione pilifera di queste dimensioni...




sabato 9 giugno 2012

Due o tre cose che so sulla disabilità

Da ormai quattro anni orbito attorno al pianeta disabilità, e registro, a volte con divertimento, a volte con frustrazione, le reazioni dei cosiddetti "normodotati" quando si parla o si viene in contatto con questo mondo. Alla vigilia delle mie meritatissime vacanze, ho deciso di condividere alcune osservazioni personali...

1. I disabili non sono disabili
L'atteggiamento della società italiana è quello pensare ai disabili come povere creature inerti che vanno guidate per raggiungere obiettivi minimi nella scuola ed accontentarsi di qualche semplice occupazione (fotocopie, lavoretti di artigianato) una volta cresciuti.
Ecco, la verità per come l'ho sperimentata io è che i disabili non sono mai troppo disabili, e spesso raggiungono risultati scolastici pari se non superiori ai loro compagni. Questi capita che non capiscano gli argomenti e le spiegazioni, ma si guardano bene dal renderlo noto, e siccome non hanno diagnosi a giustificare la non comprensione, vengono bollati come pigroni.
La conseguenza è che per raggiungere un striminzito 6 spesso il disabile deve produrre prove molto più complesse di quelle che sono destinate al normodotato.
Oppure gli si dà la sufficienza gratis, ma solo quella, indipendentemente dal fatto che meriti di più in base all'impegno ed al risultato personale raggiunto.
Tutto il sistema è troppo rigido e nozionistico, e non tiene presente delle reali doti e qualità di ogni singolo allievo. Il merito sta nel rispondere a delle domande in modo corretto. Tutto lì.
Tanto è vero che una ragazza che seguo passa brillantemente le prove scolastiche imparando a memoria interi brani dagli appunti che le rielabora l'insegnante di sostegno, ma senza capire cosa ha memorizzato. Le sue doti personali non vengono valorizzate, la scuola è un quiz a premi. I "disabili" ed i "normodotati" hanno bisogno di un sistema che li aiuti a sviluppare le loro capacità individuali.

2. La disabilità appassiona
Un mio amico presentandomi ad una sua conoscente ha detto una volta: "Lei fa un lavoro molto meritevole, perchè segue i disabili". I complimenti fanno piacere, ma francamente li ho trovati immeritati. Perchè se è vero che questo lavoro m'è arrivato per caso, poi mi ci sono appassionata, e non solo al mio campo specifico (la sordità), ma anche agli altri, l'autismo, la sindrome di Tourette etc. Quello che mi affascina non è solo il meccanismo della patologia, ma soprattutto il modo d'interpretare il mondo che hanno coloro che vivono con noi ma non come noi. E appena mi è possibile cerco di migliorare la mia conoscenza in proposito, leggo libri, vado a convegni e corsi. La differenza c'è e non c'è niente di male. Ciò che è male è trattare con condiscendenza queste persone, dando per scontato che non abbiano niente da dare e tutto da prendere. Al contrario, la consapevolezza della propria diversità e delle proprie potenzialità aiutano i "disabili" a diventare autonomi e raggiungere i traguardi che tutti hanno nella vita e che per troppo tempo il piagnisteo e la pietà a poco prezzo gli hanno negato.
La disabilità non è una vergogna, e non deve esserlo.

3. I disabili, un buon affare
Da anni si tagliano i contributi alle politiche per i disabili, con grandissimi disagi per questi ultimi e le loro famiglie. Eppure, gli sprechi vengono dal cuore del sistema, appaltato alle cooperative sociali che non garantiscono il rispetto delle regole (gli appalti alla fine arrivano spesso ai soliti noti, meglio se politicamente ammanicati) e sono un passaggio in più, un costo in più. Le cooperative -alcune cooperative- prosperano con i contributi statali, ma applicano principi economici di profitto che sono in totale conflitto con le loro cosiddette "mission".
C'è poi il sistema dei contributi (ad esempio le indennità di comunicazione per i disabili sensoriali) che rappresenta un modo per lo Stato di lavarsi le mani della questione dei servizi e mettere a tacere i sensi di colpa per la mancata integrazione nel mondo della scuola e del lavoro.
Invece di creare servizi pubblici che funzionano per tutti ed impiegano personale a tempo indeterminato, si preferisce erogare pro capite delle cifre miserrime che certamente non bastano ad usufruire di quegli stessi servizi che vengono erogati da privati, e mettersi così a posto la coscienza: non lavori, ma guarda che bello, ti paghiamo. Che poi non ci si lamenti dei "disabili" che hanno un brutto carattere, anche voi non sareste proprio contenti di essere pagati perchè vi si ritiene inutili ed incapaci di lavorare.
Penso che questa mancata integrazione lavorativa rappresenti anche una perdita in senso economico per il paese, che si priva di forza lavoro.
























venerdì 13 aprile 2012

Bellaaaa!


Adoro questa canzone dei Wilco....SIDE WITH THE SEEDS

giovedì 5 aprile 2012

Attenzione all'attenzione

Sto leggendo "Retromania" di Simon Reynolds. Il tema principale del libro è lo sguardo al passato che caratterizza la musica contemporanea, ma tra le altre cose mette in evidenza come l'ascolto di musica sia diventato, a causa dell'eccesso di offerta, sempre più distratto e meno coinvolgente. Ieri osservavo gli allievi della classe in cui lavoro quest'anno: mentre disegnano ascoltano musica in cuffia e guardano filmini nel telefonino, chiacchierano, (suppongo) avranno qualche pensiero personale (magari su un voto o una ragazza/ragazzo...o chissà), il professore parla.
Mi chiedo se è possibile imparare qualcosa o fare bene qualcosa in questo modo. So che suonerà spocchioso, magari anche un pò da vecchi, ma non ricordo tante distrazioni nei miei giorni di scuola. Anche nelle classi più confusionarie l'alternativa era lavorare o far casino, e ad una di queste attività ti applicavi completamente.
I cervelli dei ragazzi sono molto più plastici di quelli degli adulti, ed anche io studiavo con la televisione come sottofondo, ma non le davo in realtà attenzione, e non ciattavo o spedivo email contemporaneamente all'esecuzione dei compiti.
Personalmente comincio a diffidare del "multitasking" che tanto è amato dai datori di lavoro, perchè credo sia impossibile sulla distanza fare bene più di (massimo!) due cose per volta. Può andarti bene ogni tanto, ma quando devi mantenere un certo ritmo per mesi e mesi (esperienza personale) finisci per farti venire un esaurimento nervoso.
E tornando ai nostri liceali, cosa realmente trattengono nei loro neuroncini? Quanto resterà, mescolato a mp3, video musicali e foto postate dagli amici, non dico tra dieci anni, ma il prossimo anno? Tutti i professori dicono che il livello delle classi si è notevolmente abbassato, e i motivi sono in parte noti, meno soldi, poco tempo pieno, una scuola sempre meno esperienziale e sempre più nozionistica...ma non c'entrerà anche questo essere sempre da qualche altra parte, anzi da molte altre parti contemporaneamente?
Magari in futuro questi giovani saranno in grado di svolgere quattro, cinque mansioni alla volta, ma di che tipo? Di quale difficoltà? Con quale attenzione? E con quali risultati?

La cosa peggiore però può essere un'altra, la mancanza di un'esperienza vissuta completamente: noi tutti ricordiamo l'adolescenza, spesso come una sofferenza, ma anche con divertimento, a volte nostalgia. In ogni caso -come sottolinea anche Reynolds- ciò che fa così forti e fondamentali quei momenti è il fatto che noi eravamo tutti completamente lì, immersi nell'istante, nel qui ed ora di allora.
Sarebbe stato lo stesso se avessimo avuto tutti questi modi di distrarci? E come saranno i loro ricordi?
Venendo a mancare in definitiva il momento di più profondo rapporto col sè (crescendo ci saranno altre preoccupazioni, molto più pratiche, quali il lavoro e la famiglia a distrarli) che tipo di individui saranno questi ragazzi? Ed a parte il singolo, come saranno la cultura, l'arte, la società del futuro?
Domanda affascinante, ma anche...paurosa.

domenica 26 febbraio 2012

C.S.I. Casa Mia


Oggi, insieme a mio padre abbiamo fatto un sopralluogo nel mio appartamento per constatare il grado di sporcizia lasciato dall'inquilino e porvi un minimo di rimedio in attesa che subentri un'impresa di pulizie.
Se avete avuto un'esperienza del genere sapete come ci si sente: tutto è sporco, contaminato dalla lurida presenza dell'abusivo che vi ha truffati approfittando della vostra buona fede. In questo caso il lurido però è anche piuttosto reale. Inizialmente volevo una tuta di quelle che si usano per le disinfestazioni, ma alla fine mi sono accontentata di una confezione famiglia di guanti in lattice monouso.

Appena entrati, mio padre si è buttato sul frigorifero, dove "lo scarafaggio" (così abbiamo rinominato l'inquilino) aveva fatto esplodere una bottiglia di Cocacola. Sembrava che il mostro di Milwakee avesse fatto a pezzi la bottiglia mentre questa riposava quieta con le cipolle ed il formaggio. Uno spettacolo raccapricciante affrontato con coraggio e sprezzo del pericolo.
Poi, ci siamo dedicati all'eliminazione di ciò che stava nei mobiletti della cucina: c'era una quantità di pasta in ogni formato, fagioli, riso, caffè sufficienti ad affrontare i postumi di una guerra atomica. Tanto che, dopo averne buttati via diversi chili, ci siamo messi una mano sulla coscienza e abbiamo pensato di conservare le confezioni ancora chiuse e darle a qualche associazione di beneficenza.
Incredibilmente i detersivi, le spugnette per le saponette e parecchie pentole risultavano completamente inutilizzati. Non riuscivamo a capire che se ne facesse lo scarafaggio di tanta pasta se poi non la scolava.

Una delle cose più "interessanti" di quest'esperienza di per sè straziante, è il tentativo di capire quante persone vivessero effettivamente nella casa e quali fossero le loro abitudini. Ovviamente, il bagno è il luogo migliore per fare questo tipo di supposizione. Approfittando dell'assenza di mio padre, che non aveva il coraggio di entrarvi, sono penetrata nell'antro.
Lo specchio era schizzato di spruzzi e il già minuscolo spazio invaso da cinque o sei tra scope, moci luridi e spazzoloni, per non parlare di almeno due secchi per pulire. Nonostante tutto questo armamentario la muffa sul pavimento prolifera.

Ho svuotato il bicchiere degli spazzolini, ne conteneva due (aha!), più tre tubetti di dentifricio. Poi ho aperto il mobiletto ed ho trovato creme per il corpo, detergenti per il viso, confezioni vuote di rasoi usa e getta, crema per la rasatura, una bottiglia intonsa di lozione per lenti a contatto e soprattutto una confezione aperta di microclisteri di glicerina...Ahi ahi, qui qualcuno soffriva di stitichezza!
Sorvolo sul portasalviette divelto dal muro; ma la cosa veramente sorprendente era la collezione di bagnoschiuma che si trovava lungo tutto il bordo della vasca. Ne ho contati una ventina, tutti iniziati o mai neanche aperti. Lo scarafaggio e chi divideva l'appartamento con lui amava forse l'idea della pulizia, anche se evidentemente non la praticava con troppa abnegazione.
L'ultimo tocco è stato sollevare il coperchio del water abbastanza per versarci dentro mezzo litro di candeggina. Di guardarci dentro non ho avuto il coraggio nemmeno io.

Infine ci siamo occupati dei tessili: tolto le lenzuola e le coperte dal letto e tutto il rivestimento del divano. Messi in sacchi neri li abbiamo poi caricati in macchina e li faremo sanitizzare.
Quando siamo usciti in strada con i sacchi eravamo più fighi di Gilbert Grissom e Catherine Willows.

Ammetto che non sia il modo migliore per passare la domenica. Mi sarei potuta risparmiare di andare, mio padre avrebbe fatto questo lavoro anche da solo. Ma sono convinta che fosse necessario anche a me per riprendere il possesso del mio territorio.

sabato 25 febbraio 2012

Tre recensioni per Cosmic, n.3


Il motivo per cui ho scelto il disco di cui mi appropinquo a parlare è che l'hip hop non è un genere che ascolto normalmente. Specialmente quello italiano. Ogni tanto c’è qualche pezzo straniero che mi piaciucchia, ma gli italiani, da Marracash agli Articolo 31, mi annoiano a morte.

Caparezza è un’altra storia. A guardarlo mi ha sempre fatto pensare a Frank Zappa, hairstyle a parte. Ed in effetti -come Zappa-saccheggia a piene mani la storia, l’attualità, i libri, ed ovviamente la musica, li taglia a pezzettini e li frulla con furore e beffarda ironia. Ascoltare “Il sogno eretico” è farsi un viaggio a tutta velocità su una giostra selvaggia dalla quale osserviamo non solo i giorni nostri ma anche (incredibile a dirsi) la storia del nostro paese, anche parecchio remota. Bisogna stare veramente attenti, perchè i riferimenti ed i giochi di parole sono innumerevoli, si potrebbe passare mesi a passare e ripassare ogni canzone. Caparezza è(giustamente) pieno di rabbia, ma le sue canzoni non sono semplicemente degli sfoghi, raccontano storie, sono critica sociale e politica, e -grande merito che divide in parte con Frankie Hi-NRG- fanno morire dal ridere: così le velenose frecciate all'industria discografica di “Chi se ne frega della musica”, la critica alla tendenza (tutta italiana) alla supina obbedienza ai dogmi religiosi contenuta in “Il dito medio di Galileo”, e quella alla personalizzazione di certa politica di “Legalize the premier” fanno breccia grazie alle geniali trovate musicali e di testo.

Ogni canzone meriterebbe un'analisi: “La marchetta di popolino” che se la prende con i lati peggiori dell'italianità, con quel popolo che pur vessato continua a farsi incantare dalla televisione e dai politici ladroni; “House credibility” esplora i rischi del vivere in casa, luogo che ci piace pensare sicuro ma che nasconde incredibili pericoli; “Goodbye Malinconia” contempla un paese talmente allo stremo da essere stato abbandonato dai suoi stessi abitanti, fuggiti chissà dove.

Esilarante è il gioco di “Kevin Spacey”, ma non ve lo svelo, ascoltatela.

Sul finale il disco si fa più rabbioso, e il Capa infila quattro pezzi che sprizzano indignazione ma non rassegnazione, tra cui spiccano “Non siete Stato voi”, invettiva dall'incedere martellante contro i politici che hanno distrutto il paese approfittando della loro posizione, e l'acidissima e circense “Ti sorrido mentre affogo”.

“Il sogno eretico” è un concentrato che racconta l'Italia ed il mondo che ci circonda in questi anni meglio di tanti programmi televisivi e libri, e articoli di giornale. Ci dice come siamo e perchè siamo arrivati ad essere così. Probabilmente in un futuro sarà allegato ai libri di storia. Bello, proprio tanto, tanto bello.

mercoledì 22 febbraio 2012

Glory Day

Lo diceva il mio oroscopo che nel 2012 un pò di cose si sarebbero sistemate.
E allora, la grande notizia è che l'individuo che occupava abusivamente il mio appartamento se n'è andato!!! Ci abbiamo messo quasi 3 anni, abbiano sostenuto (e sosterremo) una caterva di spese, ma finalmente se n'è andato. Non ci speravo più. L'avvocato ogni volta faceva delle previsioni che volevano la casa libera prima in 8 mesi, poi in altri 5 poi 7, un supplizio.
Ma è finita, e ora si festeggia, per giorni e giorni, per settimane!
E da qui si riparte!

sabato 18 febbraio 2012

Ecco, forse adesso sono un pò arrabbiata


A volte ritornano. Ci sono eventi della tua vita che tu ritieni ormai passati allo stato di memoria storica, ma continuano a riaffiorare sulla bocca delle persone che conosci sotto forma di critiche, frecciatine, lamentele o peggio del peggio, giudizi.
Non so, ad esempio negli anni settanta poteva essere l'aver messo al mondo un figlio senza essere sposata, o non aver sposato il ricco pretendente che ti aveva offerto l'anello.
La mia persecuzione si chiama banca.

Come già sapete, circa 10 anni fa mi trovai per una serie di incredibili circostanze a lavorare come impiegata in una banca milanese. Ero già ampiamente fuori tempo massimo per un'assunzione, e nemmeno avevo fatto degli studi anche solo propedeutici ad un lavoro del genere (anche se, siamo onesti, i lavori che ho fatto io in banca erano alla portata di chiunque avesse preso la licenza media). Ma ci sono delle cose che ci vengono incontro e sembra che dobbiamo accettarle per forza, così l'allineamento dei pianeti fece in modo che nonostante tutto fossi assunta.

Lo sapevo da sola che era un'occasione incredibile, che agli occhi di tutti, i miei genitori per primi, ero stata fortunata, fortunatissima. E nonostante i miei dubbi ho sempre cercato di essere grata e di accettare questa "buona sorte".
Ma c'era poco da fare, non mi piaceva, e non solo: l'ambiente degli uffici è spesso un concentrato delle peggiori tendenze della società. L'ipocrisia, la volgarità, il vuoto intellettuale, il razzismo e lo sciovinismo più beceri sbocciano come fiori malati, avvelenando lentamente i giorni. Si fa finta che vada tutto bene, si inghiotte, si sopporta, e tutto per lo stipendio, munifico se paragonato con l'impegno richiesto. Per questo me ne sono andata, perchè a me i soldi non bastavano per sopportare un lavoro senza scopo e un ambiente del genere.

Ora, mi sembra (se avete seguito i post degli scorsi anni lo sapete) di aver pagato per le mie scelte e di non essermi lamentata mai per uno stipendio che era esattamente un terzo di quello prendevo prima per fare molte più ore di lavoro, senza previdenza sociale, senza pagamento degli straordinari e senza tredicesima. Certo, me lo sono potuto anche permettere, visto che abito col mio fidanzato. Mi sono potuta permettere questa scelta, ma ho saputo rinunciare ai privilegi e poi, quante persone sono ancora là, in ufficio, pur odiando quel posto, solo per i soldi?
Qual'era la scelta più facile?

In ogni caso, perchè parlando con amici devo ancora sopportare gli sguardi di rimprovero da "Hai sprecato l'occasione della tua vita" e " Sei una ragazzina viziata"?
Me ne sono andata da sei anni, e sono ancora viva, ed ho fatto tante cose, ed ho affrontato e superato praticamente da sola parecchi momenti difficili.
Onestamente mi sembra addirittura patetico pensare che quella possa essere stata l'occasione della mia vita. Le occasioni capitano, come no, ma non una volta sola nella vita. E se non capitano, si vanno a cercare.
Perchè non si può accettare una scelta altrui, giusta o sbagliata che sia? Non abbiamo il diritto di sbagliare? E perchè la correttezza o l'errore sono sempre valutati in termini di guadagno??!?!?!??! BASTAAAA!!! Non mi sento più triste perchè guadagno poco, ma più contenta (anche se a volte frustrata di fronte alle difficoltà) perchè faccio qualcosa che mi piace e che ho scelto...
Come dice Big Lebowsky: "Fanculo i soldi, la vita va avanti"...

domenica 29 gennaio 2012

Senza titolo

Tutti intravvediamo l'abisso, di quando in quando. Solo alcuni hanno il coraggio di lasciarvisi cadere. (Anonimo)

sabato 21 gennaio 2012

Fuck the 60ties!


Io ed il mio fidanzato abbiamo una consistente differenza d'età.
Questo per me non è mai stato un elemento problematico, nonostante ogni tanto mi si chieda se sia mio padre, quando comunico la sua età sono tutti sorpresi dal suo aspetto che -come il mio del resto- non tradisce il dato reale.

Ultimamente però, il peso di questa differenza si è fatto evidente. Soprattutto da quando è rimasto a casa in pensione, il suo mondo mentale si è sempre più ristretto, fino ad assumere la prospettiva di un criceto nella ruota.
Una volta alla settimana incontra i suoi amici storici al bar di un altro amico storico, e quella è tutta la sua vita sociale. Purtroppo gran parte di queste riunioni è inquinata dal ricordo, dalla nostalgia dei tempi andati, dall'immobilità di fronte al futuro.

Conosco il fascino del passato, so quanto possa essere vischioso: io non ho mai smesso di desiderare di tornare bambina, perchè essere adulta è una vera sofferenza. Tuttavia, provo continuamente a cercare la mia strada frequentando corsi, facendo volontariato, cercando per quanto mi è possibile nuove esperienze.

E vedere un uomo che ha la fortuna di avere tante possibilità e tanto tempo, ed il denaro per sfruttare quel tempo (una pensione non è mai come uno stipendio, ma è pur sempre un reddito sicuro) buttarli via ricordando continuamente il passato e ripetendo all'infinito vecchie avventure invece di cercarne di nuove è deprimente.
L'immobilità mentale si traduce in una rigidità insopportabile che esalta la ripetizione degli stessi temi ed in un rafforzamento delle sue fissazioni (per le pulizie ad esempio) invece delle sue qualità di uomo.

Forse è colpa del fatto che la sua gioventù è stata certamente più divertente della mia, tra canne e concerti di Jimi Hendrix, Frank Zappa, Deep Purple etc. e ricordarla è un'operazione più confortante del guardare al presente, con gli acciacchi e gli annessi dell'avanzare dell'età.
A pensarci, il peso che porta il popolo degli "original 60ties youngsters" è gigantesco, stupidamente immenso: il peso di un cambiamento epocale nella musica, nel costume sociale, nella politica, di cui oggi rimangono solo i dischi ed i gloriosi ricordi.
Provo ad immaginare cosa debba provare chi ha vissuto in prima persona quel periodo che per noi è fantastico quanto una favola, ed altrettanto immateriale, mentre per loro -a causa nostra- è un culmine di gloria a cui hanno fatto seguito anni di duro risveglio dal sogno.
Ma se tutti ti guardano con ammirazione, si accorgono di te quando dici che beh, sì, tu c'eri all'unica tourneè italiana di Hendrix, hai partecipato ai movimenti politici, vuoi rinunciare a questo piccolo momento di gloria? Difficile.
E allora si continua incessantemente a ricordare, perdendo di vista l'adesso e ciò si è in questo adesso.
Non so se è ciò che accade al mio fidanzato, ma sicuramente a molti che gli stanno intorno e che frequenta. E allora, meglio avere la tristezza dei Duran Duran e degli anni 80 come ricordo, almeno viaggio leggera, e penso al presente ed al futuro.

Non seppellisco gli anni sessanta, rimangono un'ispirazione a seguire l'ispirazione, ma se vogliamo che torni un periodo del genere, di tanta gloria e speranza, ce li dobbiamo scordare.



domenica 15 gennaio 2012

Tre dischi per Cosmic, n. 2



Cosmic mi ha chiesto tre recensioni di altrettanti dischi del 2011, o meglio, visto che sono una ritardataria cronica, che avessi scoperto nel 2011. Per pura combinazione la prima, che metteva a confronto Teatro degli Orrori e One Dimensional Man si riferiva a un disco uscito nel 2011 e con incredibile fortuna, anche questa.


Mi dedicherò dunque alla mia eroina di sempre, PJ Harvey, che ho amata dal primo “Dry” e trovo ancora modello di donna da seguire nella sua bravura ed auto ironia.


Ed allora, ecco “Let England Shake”, che segue l’etereo e per me bellissimo e sorprendente “White Chalk”, dal quale si discosta per la strumentazione elettrica (diverse tastiere, chitarra), in cui però trovano spazio anche la cetra e cori etnici e per la durezza dei testi. Il suono è sicuramente più pieno, meno impalpabile di quello di “White Chalk”, ma sempre asciutto, mai ridondante, mai esagerato, come da sempre siamo abituati con lei.


A tanti anni di distanza dal suo primo album, PJ Harvey è per certi versi irriconoscibile, della ragazzina che ascoltava che prendeva ispirazione da Howlin’ Wolf per il suo blues al calor bianco sembra rimasta solo la voce, ancora capace di mettere i brividi. Allora però era uno strumento potente e quasi incontrollabile, mentre ora è più omogenea alla struttura delle canzoni.


“Let England Shake” è un album cupo, che parla della guerra e di tutto l’orrore che porta con sé. I versi sono durissimi, e raccontano un occidente addormentato in cui l’indifferenza ha vinto ed ogni mostruosità è coperta da lustrini e risate, in cui tutti girano la testa dall’altra parte:


“Sorridi, sorridi Bobby, con quella tua bella bocca. Dimentica i tuoi guai andiamo verso la fontana della morte e spruzziamoci, nuotiamo, e ridiamo forte”


Canta con dolore il proprio paese, complice dei conflitti in Medio Oriente, canta le vittime (“The glorious land”, “Written on the forehead”), i mariti diventati soldati, le mogli pronte a diventare vedove (“Bitter branches”).


Le immagini sono limpide e spettrali, la musica si potrebbe dire ellittica perchè -eccettuato il crescendo di “All and everyone”- i suoni sono tutt’altro che aggressivi, a volte paiono addirittura giocosi, come in “Written on the forehead”, un reggae quasi allegro.


Ovviamente c’è molto di più in questo disco, ma non ve lo racconterò tutto io, ascoltatelo…

mercoledì 4 gennaio 2012

Tutta colpa dell'Inglese (o One Dimensional Man vs Teatro degli Orrori)


Conosco gente che rimpiange il tempo in cui Pierpaolo Capovilla e soci si facevano chiamare One Dimensional Man. Costoro saranno probabilmente contenti che l'irrequieto Capovilla, al colmo del successo del Teatro degli Orrori, abbia pensato di tornare alla vecchia formazione e pubblicare con questa un nuovo album, "A better man".

Invero, il fenomeno mi appare bizzarro, l'unica spiegazione che riesco a darmi è che i nostri eroi siano animati da uno spirito da bastian contrario che li porta a queste mosse spiazzanti.

Ad ogni modo il punto è che non c'è storia, il Teatro degli Orrori è meglio, molto meglio dei One Dimensional man, e adesso vi spiego anche perchè.

Dopo aver ascoltato i dischi di entrambe le formazioni e averci pensato un pò, sono giunta alla conclusione che il problema stia in gran parte nella lingua scelta dagli ODM, l' inglese. Per anni e anni mi sono sentita ripetere che l’Italiano non è una lingua rock: i primi dischi di Ligabue erano osannati anche perché riuscivano a mettere su melodie rock versi interessanti seguendo la ritmica. Cantanti come Elisa hanno preferito per molto tempo cantare in Inglese nonostante questa scelta le penalizzasse sul mercato locale, perché sentivano di potersi esprimere meglio con questa lingua.

Ebbene signori, il Teatro degli Orrori ha dimostrato che queste teorie erano tutte fregnacce e che si può fare musica rock, veloce, in Italiano, e con bellissimi testi. Anzi, hanno dimostrato pure che la lingua d’Albione non è sempre così efficace come ci hanno fatto credere. Infatti, i testi dei One Dimensional Man (in Inglese) non hanno la stessa forza di quelli dei TDO, sembrano scritti con timidezza, insicurezza, e non hanno certo la potenza deflagrante di quelli in Italiano.

C’è poi un altro motivo, squisitamente linguistico e fonetico.

Secondo le teorie della Linguistica moderna, se una persona non impara una lingua entro i primi anni di vita, non sarà mai in grado di riprodurne perfettamente l’accento. Posso dedurne che la lingua parlata in qualche modo plasma gli organi della bocca, e quindi gli Italiani sono in grado di riprodurre perfettamente una certa serie di suoni, i francesi un’altra serie e così via. Aggiungete che l’Italiano ha una gamma di emissioni che in parte si discostano da quelle dell’Inglese.

Capirete allora come l’emissione di suoni inglesi renda difficile ad un italiano sfruttare completamente il suo potenziale vocale. Pierpaolo Capovilla (che deve aver fatto dei corsi di teatro per acquisire l’espressività vocale che lo contraddistingue) ribalta i tavoli nei dischi dei TDO e a malapena fa tremar le sedie in quelli degli ODM.

Ammetto che questa teoria possa sembrare un po’ fantasiosa, ma sono abbastanza convinta che sia plausibile. Anche perché la musica di entrambe i gruppi è forte, il vero punto debole sono i testi e la voce di Capovilla che non è evidentemente al suo massimo. E' confortante scoprire che anche la lingua di Dante può tener testa al rock...

Mi resta solo da capire il motivo della scelta di Capovilla e co., non sono molto informata su questo particolare…

martedì 3 gennaio 2012

Moby Dick

Nel film "Zelig", Woody Allen tentava per tutta la vita di leggere "Moby Dick", senza riuscirci mai e conservando, alla fine della propria vita, il rimpianto per non averlo letto. Prima di Natale Cosmic mi ha fatto tornare in mente questo film e così ho pensato di elencare una serie di cose che mi piacerebbe fare prima di andare nell'altra stanza, con la speranza che non diventino come il libro di Melville per Zelig.

Eccole dunque, in ordine sparso, non di preferenza, senza l'intenzione che diventino "propositi per questo o un qualsiasi anno nuovo". Sarete magari delusi dall'ingenuità di alcuni desideri ma che volete, io sono un tipo semplice...

1) Provare l' LSD

2)Scrivere uno o più romanzi

3)Andare in Mongolia, Nepal e Russia

4)Lanciarmi col paracadute

5)Innamorarmi ancora

6)Sviluppare un superpotere

7)Cambiare identità

8)Conoscere gli alieni

9)Scappare col circo

10)Pogare seriamente ad un concerto metal

11)Laurearmi

mercoledì 7 dicembre 2011

Cambiare strada

I saggi dicono che il cambiamento va abbracciato, non fuggito.
Dopo aver lasciato il mio bell'impiego fisso ho fatto mio questo pensiero ed ho cercato di non spaventarmi dei cambiamenti.
Mi è sempre andata bene, ma adesso mi sento un pò persa.
Sarà perchè da quattro anni faccio un lavoro che più precario non si può -e se prima era la scuola dove lavoravo a farmi venire i sorci verdi, ora è il fatto di dover minacciare di andarmene per farmi pagare ad avvelenare la mia serenità- sarà questa finanziaria da tregenda che non sappiamo quanti lavori nel sociale lascerà, sarà il futuro incerto di una professione non riconosciuta, o il peso dell'età...Però mi sento, per la prima volta da parecchio tempo, disorientata.
L'anno prossimo probabilmente sarò costretta a cambiare ancora, a quarantatrè anni, tutti i miei piani. E stavolta, non so davvero cosa fare...

giovedì 6 ottobre 2011

Citami questo! / 3

A buon intenditor poche citazioni...




1) Sono rientrato a casa e ho trovato Frank, il mio migliore amico, a letto con mia moglie. Gli ho detto: "Frank, io devo! Ma tu?".

2) Ce ne stavamo seduti a chiacchierare in un ristorante etiope scelto da lei. E io facevo qualche battuta tipo:"Ehi! Non sapevo che si mangiasse in Etiopia, sarà una cosa rapida: ordino due piatti vuoti e via!"

3) Se uno ti accompagna all'aeroporto è chiaro che è all'inizio di una relazione, ecco perché io non accompagno nessuno all'aeroporto all'inizio di una relazione. Perché alla fine le cose cambiano, e tu non l'accompagni più all'aereoporto, e io non voglio sentirmi dire: "Come mai non mi accompagni più all'aeroporto?"

4) Quanto vuoi essere coccolata dopo? Tutta la notte, eh? Ecco, il tuo problema sta proprio tra quei 30 secondi e tutta la notte

5) No, no no no no, non l'ho mai detto! ... Sì, hai ragione, non possono essere amici. Cioè, se tutti e due stanno con qualcun altro allora sì, è l'unico emendamento alla regola d'oro: "Se due persone stanno con altri la possibilità di un coinvolgimento diminuisce". E non funziona lo stesso, perché allora la persona con cui stai non capisce perché devi essere amico della persona di cui sei solo amico, come se mancasse qualcosa al rapporto e dovessi andare a cercartelo fuori. E quando dici "no, no, no, non è vero, non manca niente al rapporto", la persona con cui stai ti accusa di essere segretamente attratto dalla persona di cui sei solo amico, il che probabilmente è vero. Insomma parliamoci chiaro, vale la regola d'oro, si abolisce l'emendamento: uomini e donne non possono essere amici. Vieni a cena con me?

martedì 20 settembre 2011

Momento di smarrimento


...odore di Arbre Magique alla vaniglia...e tuo malgrado ricordi...

domenica 4 settembre 2011

Vuoto totale

Non amo molto cenare con estranei. E per estranei intendo persone che magari conosco da anni ma con le quali non ho per vari motivi molto da spartire o una frequentazione assidua. Capita spesso, purtroppo, di intrattenere questo genere di rapporti e di solito sono i colleghi, ad essere il gruppo di estranei con cui si finisce per fare questo genere di esperienza.


Per me sono i cognati gli estranei in questione. Questa settimana ci ho cenato insieme per ben due volte. Sono ottime persone, con un passato piuttosto fuori dal comune che sarebbe bello ascoltare. Ieri sera si sono presentati con una cugina di lei e altre due persone che non avevo mai visto.
Orrore.


Detesto queste situazioni, mi creano imbarazzo solo a pensarci. Perché io sarei anche una che parla di cose personali, non necessariamente del tempo, ma c’è poco da fare, quel che ha da raccontare la gente non è granchè.


La cosa che temo di più è che ci si aspetti qualcosa da me, dal mio parlare, e d’altronde detesto le serate a senso unico, in cui qualcuno resta tagliato fuori.
Così ce la metto tutta, faccio osservazioni ironiche, faccio la spiritosa, tiro in mezzo il fidanzato. Ieri sera ho un po’ salvato la situazione dirottandolo sui racconti dell’infanzia con suo fratello, che erano divertenti (anche se li ho ascoltati già 200.349 volte) e facendo alla cugina di mia cognata domande sulla sua nuova pettinatura e sul suo nuovo colore di capelli. Bisogna interessarsi a chi si ha vicino per cercare di scioglierli un po’.


D’altronde, se non si può cavar sangue da una rapa, non si possono cavare discorsi intelligenti o perlomeno interessanti da chi non ha voglia di farne.


Così non siamo sfuggiti alle solite battute a sfondo sessuale (dirette a mio cognato ed alla cugina), alle insopportabili bullate di chi aveva comprato un vino splendido pagandolo niente (ma si potrebbe trattare di un agriturismo economico e fantastico, di un negozio di abiti di marca venduti a prezzi ridicoli, di qualunque cazzata risvegli la “sindrome del pescatore scaltro”, quello che ha preso il pesce più grosso e fatto l’affare migliore), ai discorsi sul tempo metereologico.


Libri? Neanche nominati. Musica? Film? Ma esistono?


Con l'età comincio ad essere insofferente verso questo genere di riunione, mi annoiano, mi svuotano. E finisco per bere e mangiare troppo, come ieri sera.


Mi infastidisce non solo sprecare il mio tempo, ma rendermi conto di non essere in grado di superare la barriera della banalità che circonda gli individui fino a quando non capiscono di potersi fidare. Magari queste persone non sono per niente interessanti, magari invece lo sono e hanno un sacco di cose da raccontare, ma chissà quante serate del genere dovrò sopportare prima di scoprirlo.

mercoledì 3 agosto 2011

Il bicchiere dell'acqua si paga


Lunedì scorso ero in un porto sardo per prendere il traghetto che mi avrebbe portata in continente. Non è un porto da ricchi, anzi, la gente arriva e parte da lì perchè costa meno. Vado a bermi un caffè al bar e sopra il bancone leggo su un cartello IL BICCHIERE DELL'ACQUA SI PAGA! sottolineato in minaccioso pennarello rosso.
Subito il bar m'è stato antipatico, poi ho pensato di chiedere di bere direttamente dal rubinetto, dato che si pagava il bicchiere dell'acqua, infine ho pensato con tristezza ai tempi in cui i viandanti potevano bussare ad una porta qualsiasi, chiedere da bere e ricevere un bicchiere d'acqua (o -si dice in Romagna- di vino) e magari un invito a pranzo.
Il mio fidanzato mi racconta sempre di quando anni fa in Grecia scambiò un banchetto di famiglia per un ristorante all'aperto e fu accolto come un ospite, tanto che comprese l'errore solo quando chiedendo il conto i suoi ospiti si misero a ridere.
Ma che è successo agli italiani? Neanche un bicchiere d'acqua si può chiedere senza doverlo pagare? Un piccolo segno del fondo a cui siamo arrivati...

domenica 24 luglio 2011

Roses and Broken hearts

Io non me l'aspettavo che Amy Winehouse sarebbe morta, com'è morta, giovane e sola. Forse perchè mi sembrava troppo facile, troppo pateticamente scontata una fine alla Hendrix/Joplin/Jones. Invece, eccoli lì, tutti in fila, e in fondo, più recente acquisto, lei.
Mi ero fatta un film su Amy e speravo che sarebbe andata proprio così: che sarebbe scomparsa dalle scene, senza che nessuno ne sentisse più parlare. Poi, un giorno si sarebbe materializzata di nuovo, grassa, plurimadre di una nidiata di marmocchi (ormai alcuni adolescenti dall'aria strafottente di mamma), con un nuovo album capace ancora di sorprenderci e farci sospirare per tutti quegli anni passati ad aspettarla.
Credevo che una come lei ce l'avrebbe fatta, anche solo per dimostrare a quegli stronzi bookmakers londinesi che puntare sulla sua data di morte era stata una bella cazzata, e lei li aveva fottuti tutti.
Forse non era possibile. Forse la vita è sempre pateticamente scontata.

giovedì 21 luglio 2011

Too fast for love, Cosmic e Titta al concerto di John Mellencamp (Vigevano 9/7/2011 )



PROLOGO 1:


Titta: - Va bene,dài. Vengo
Cosmic: - Wow, grande!
Titta: -Però guarda che non pogo, eh?
Cosmic: - Pogare? Ad un concerto di Mellencamp?!?



PROLOGO 2:


C’era gente che aspettava da una vita che John Cougar Mellencamp facesse tappa in Italia con un tour. Perché non sia venuto prima non è molto chiaro (girano versioni diverse al limite della leggenda urbana) e forse si è deciso fuori tempo massimo a fare il grande passo. Non perché sia diventato troppo vecchio, ma perché a un musicista come lui avrebbe certamente giovato frequentare la nostra penisola negli anni 80, quando Springsteen imperversava e gente anche meno talentuosa ebbe il suo momento. Scelte.



Si parte da Milano alle 18 con la sicumera di Cosmic:
– Tranqui, la so bene la strada.
Si continua con gli epiteti borbottati alla terza tangenziale sbagliata.
Si finisce con imbroccare la strada statale giusta (dopo aver sbagliato l’uscita più facile della storia della topografia), alle 19:30. Da lì giungiamo sull’obiettivo in appena 30 minuti.

All’interno del cortile del Castello Sforzesco, luogo centrale ma contenuto, adatto a concerti tranquilli, l’atmosfera è rilassata. L’età media è piuttosto alta, non si vedono spettatori sotto i 35 anni, nessuno si accalca alle transenne sottopalco alla ricerca del posto migliore, la fila per il panino alla salamella echeggia dei soliti discorsi sul miglior concerto mai visto nella propria vita, sull’esecuzione memorabile di questo o quel pezzo, sui prossimi incontri a qualche altro festival, su esperienze da festival allucinanti (vince a mani basse l’organizzazione del Rock in Idrho) raccontate con fare da reduci e bullerie del genere.
Scegliamo due hamburger “completi” e individuiamo una panca tranquilla (senza tavolo, che erano tutti occupati) per appoggiare le nostre pigre chiappe e consumare il panozzo, congruo compromesso tra il famoso fast-food, brand americano, e l’attenzione italiana ai panini, tenendo il bicchiere di birra tra le cosce (per ovviare al rischio riscaldamento cerchiamo di bere in fretta).
La postazione è favorevole per ammirare le t-shirt che passano di lì. Ne girano di strepitose, Silver Surfer, Jerry Garcia Band, Flogging Molly, Bob Dylan, John Spencer Blues Explosion, Gaslight Anthem e perfino una di Hank III. Cosmic nel vederla è combattuto tra l’invidia (era certo di vincere la t-shirt contest con la sua verde dei Pogues) e la commozione (un altro fan di Hank Williams III!!! Non se ne vedono spesso…).

Cosmic osa sfidare il cesso chimico, Titta pavidamente rinuncia. Scopriamo con sconcerto che le postazioni di beveraggio non hanno la macchinetta del caffè. Orrore.
Si gira ancora un po’ per gli stand (miserelli per la verità), con una fermata stranamente breve a quello dei dischi: la crisi attanaglia persino il portafogli degli inossidabili dinosauri musicali.

Verso le 20.30 finalmente prendiamo possesso del prato: prima del concerto è prevista la proiezione di It’s about you, un film sulla lavorazione dell’ultimo album di Mellencamp,“No better than this”. Questa scelta ci è subito parsa curiosa come apertura di un concerto, ma dato il tema pensavamo sarebbe stato comunque interessante. Invece ci siamo trovati di fronte ad un documentario autocelebrativo in stile on the road, girato tutto in super 8 con inquadrature finto casuale, modi da videoclip degli anni 90 e un voiceover in americano senza sottotitoli (grazie mille da parte di chi non sa l'Inglese). Non solo.

Con l'occhio degli espertoni potremmo dire che si voleva imitare il “Don't look back” di D.A. Pennybaker,(che raccontava la tourneè inglese di Bob Dylan nel 1965 e lì alcune inquadrature erano veramente casuali) con risultati deludenti. Come spettatori abbiamo trovato il racconto poco interessante e di uno stile superato. Senza contare che si mostravano spezzoni di concerti nei quali sono anticipate le versioni rivedute di alcuni classici che saranno poi regolarmente suonate (“Smalltown” acustica, “Cumblin’ down”…). Francamente incomprensibile.

Ad ogni modo, la visione del film ha avviato un intenso dibattito dagli elevati contenuti culturali:

- Cavolo, però c'ha ancora un sacco di capelli Mellencamp
- Ma sai che stavo per dire lo stesso? Non come il Boss che ha fatto il trapianto
- EEEH???! Veramente? Cavolo, che scoperta. Da Springsteen non me l'aspettavo...
- Eh sì, che ci vuoi fare…
Il film continua, e continua, e continua.
L'insofferenza del pur paziente pubblico si fa palpabile. Dissolvenza...dai che è finito...NOOOO! Ricomincia!
Ora piovono fischi.
E' ormai buio quando finalmente partono i titoli di coda, che vengono trasmessi integralmente, ora sappiamo perfino chi ha portato i panini alla troupe.
Siamo seriamente preoccupati che ora sia il turno del cineforum…

Per fortuna arrivano i roadies a smontare lo schermo (non senza qualche difficoltà…) e ci scappa qualche altro interminabile minuto di ritardo per gli ultimi ritocchi al soundcheck (!??!?). Allucinante.
Sono quasi le 22:30 quando FINALMENTE comincia la musica. Apre “Authority Song” che ha un ritornello facile facile che Mellencamp lascia cantare al pubblico. Titta si unisce al coro, anche grazie a Cosmic che fa da gobbo.

La band è davvero notevole. Spicca il chitarrista, bravissimo. Grande importanza hanno anche le esecuzioni della violinista, che hanno uno spazio sempre significativo negli arrangiamenti.
Nonostante un cretino col cappello a falde larghe continui a fare foto con un flash che fungerebbe perfettamente come faro marittimo, ce la stiamo godendo.

Inizia poi una lunga sessione acustica durante la quale Titta, nonostante l’ignoranza Mellencampiana riconosce alcuni brani ascoltati per radio o televisione, tra cui “Small town”, che forse sarebbe stato meglio lasciare elettrica (su questo con Cosmic si concorda) e una toccante “Longest days”.
Poi si ritorna all'elettricità e gli ultimi brani sono entusiasmanti, fino al finale, durante il quale Mellencamp trascina sul palco dal pubblico un ragazzino (incredibile, un ventenne!) e canta insieme a lui. Divertente, l'unico momento di calore verso il pubblico. Dopodichè John ringrazia e se ne va. Ci aspettavamo un paio di bis, invece i roadies iniziano immediatamente ad impacchettare gli strumenti, togliendoci ogni speranza.

Questa mossa lascia tutti sbigottiti e delusi. Cosmic è senza parole:
- Ma come…
- E “Hurt so good”?!?
- E “Human wheels”?!?
- E “Paper in fire”?!?
- E “Wild night”?!?
- E...
- Coraggio Cosmic, non aggrapparti alla transenna, vieni via.
- Ma no, aspetta…E “Key west intermezzo”?!?


EPILOGO

C'è un limite oltre il quale l'atteggiamento scorbutico della star diventa quasi disprezzo, e il nostro John a farci star male c'è riuscito piuttosto bene. Nonostante la bravura della band e la bellezza dello spettacolo, se ne esce con la sensazione di essere stati un po' presi in giro, di aver assistito ad un'esibizione preconfezionata, fresca come la Coca cola quando sei assetato o gustosa come il Big Mac quando sei assalito dalla fame chimica, ma sempre uguale dovunque andrà. Se ci andrà…

domenica 10 luglio 2011

To remind me

John Mellencamp "Longest Days"

Seems like once upon a time ago
I was where I was supposed to be
My vision was true and my heart was too
There was no end to what I could dream
I walked like a hero into the setting sun
Everyone called out my name
Death to me was just a mystery
I was too busy raising up Cain

But nothing lasts forever
Your best efforts don't always pay
Sometimes you get sick
And don't get better
That's when life is short
Even in its longest days

So you pretend not to notice
That everything has changed
The way that you look
And the friends you once had
So you keep on acting the same
But deep down in your soul
You know you, you got no flame
And who knows then which way to go
Life is short even in its longest days

All I got here
Is a rear view mirror
Reflections of where I've been
So you tell yourself I'll be back up on top some day
But you know there's nothing waiting up there for you anyway

Nothing lasts forever
And your best efforts don't always pay
Sometimes you get sick
And you don't get better
That's when life is short
Even in its longest days

Life is short
Even in its longest days

Qui c'è il video dell'esecuzione di ieri sera a Vigevano

domenica 12 giugno 2011

E poi siamo arrivati alla fine...

Ebbene, eccoci qui. Venerdì, con la conclusione dell'anno scolastico, ho terminato anche il mio mandato di assistente alla comunicazione con il caso che ho seguito per tre anni. Un finale deludente a dire poco per un sacco di motivi. Ancora una volta il sentimento di responsabilità non ha pagato. Esco da quest'esperienza con parecchie ferite da guarire, un gran senso di solitudine e la sensazione che il mio lavoro non sia servito a niente e non sia stato considerato per niente. Nessuna soddisfazione, solo amarezza.
Lo so che sembra un gran piangersi addosso e che cose del genere accadono tutti i giorni in tutti gli ambiti lavorativi.
Speravo che almeno umanamente avrei sentito di aver fatto la cosa giusta, e invece no.
Sono sollevata e contenta che sia finita.
Adesso aspetto il futuro.

sabato 21 maggio 2011

Against Fashion 2





In questo post due esempi dell'orrore estetico che prolifera nella moda giovanile...Qui sopra potete vedere i "pantaloni cacca", termine usato dal ragazzino che orgogliosamente li indossa.
Nella seconda foto invece una perversione da girone dantesco: il pantalone cacca fermato alla caviglia con degli elastici...
Da non dormirci la notte!


sabato 14 maggio 2011

ANSIE

Non riesco a fare a meno dell'ansia. Dopo un anno passato a disperarmi e ad agognare la fine di quest'incarico, con l'appropinquarsi di questo termine vengo a conoscenza di possibili cambiamenti del meccanismo di assunzione delle assistenti. Sono preoccupatissima per il mio futuro. A volte mi chiedo se mi sarà mai possibile vivere senza queste continue iniezioni di adrenalina...

mercoledì 11 maggio 2011

Babbei

La settimana scorsa mi era venuta un'idea scemissima: avevo pensato di produrre degli stickers elettorali con una scritta del tipo "A X puzza l'alito". Mi sono fatta una tonante risata, complimentandomi per la stupidità del pensiero...

domenica 8 maggio 2011

RAGE


Vi ho parlato più volte del mio lavoro, e spesso vi ho detto quanto poco sia pagato, regolamentato, riconosciuto.
A dispetto di tutto questi io e molte altre colleghe siamo sempre pronte ad un corso d'aggiornamento e così, nonostante le cose che già ho da fare, mi sono iscritta ad un corso che parte a MAGGIO e presenta una frequenza assurda di 6 ore la settimana (a volte anche di più) suddivise in due serate. Tenete presente che la sede del corso è sperduta nell'estrema periferia opposta rispetto a casa mia.
Ora immaginate che la prima lezione sia stata ieri, sabato, dopo una settimana di lavoro, e che sia durata fino alle 18.
Infine pensate a come si possa sentire un'assistente quando si sente dire che il corso è per stabilire che cosa LEI deve fare e perchè sia capace di far rispettare il patto educativo tra scuola e famiglia.
Non s'è minimamente accennato al diritto di essere riconosciuta come figura professionale, ad un compenso minimo che permetta alle donne ed ai pochi uomini che fanno questo lavoro di vivere dignitosamente senza farsi sfruttare.
Niente di tutto questo. E d'altronde, non è assurdo che si faccia un corso (cofinanziato dalla regione) per una figura professionale che NON ESISTE?!?
Un docente ha detto che l'evoluzione scolastica è molto lenta, ma io lavoro ADESSO, e voglio, pretendo rispetto ADESSO, non tra 20 anni!
E poi siamo noi a doverci mettere la mano sul cuore quando lavoriamo e sacrificarci in nome del bene del bambino/ragazzo che assistiamo.
Quanta ipocrisia.


domenica 1 maggio 2011

Oppio di popoli


In questo giorno che deve essere dedicato a un valore laico come il lavoro, la chiesa cattolica celebra la beatificazione di Giovanni Paolo II alias santosubito. Non so voi, mai io vedo quest'evento come un contributo al tentativo di alcuni di svuotare di significato la data del Primo Maggio.
I valori laici sono continuamente sotto l'assalto della chiesa e dei politici ad essa connessi. Ci si lamenta che nei paesi arabi la popolazione sia vessata da governi religiosi ma a volte non sembra che ci sia molta differenza con l'Italia.

Come se questo non bastasse, siamo circondati da sette e chiese d'ogni fatta, perlopiù d'ispirazione cristiana, che si trovano negli scantinati dei condomini (già ne parlai tempo fa) o in ristoranti esotici nelle zone più periferiche della città. Milano è percorsa in lungo e in largo da evangelizzatori con una targhetta appesa al taschino della giacca, vecchietti macilenti cercano di rifilarti riviste religiose alla fermata del tram. I più giovani della setta citofonano cercando di penetrarti in casa.
Perfino tra le persone che mi sono amiche ci sono appartenenti a questi gruppi e la mia regola numero uno con loro è evitare gli argomenti religiosi (dio non voglia che poi cerchino di evangelizzare anche me).
Sono convinta dell'importanza della libertà di culto, ma non sono certa che tutte queste persone siano convinte della libertà di laicismo.
Tanto per fare un esempio, una mia collega che si occupava di un ragazzo sordo è stata sostituita senz'altro motivo che il fatto di non essere testimone di geova come la famiglia del ragazzo. Roba da denuncia.
Per non parlare delle difficoltà da me stessa sperimentate nel lavorare in una struttura di cl.

La mia idea è che si debba essere liberi di credere o di non credere, senza che questo intervenga nella propria vita lavorativa e pubblica. Poi, nel privato ci s'inginocchi, si canti (senza disturbare i vicini), si faccia un pò quello che si vuole, ma sempre nel rispetto degli altri.
Ecco, è questa la cosa più assurda. Gente che si appropria di parole come AMORE e CONDIVISIONE sembra avere il più assoluto disprezzo per la parola RISPETTO (delle idee altrui). O con me, o contro di me, o dentro, o fuori. Detto tra noi, se Dio è un tipo in gamba come dicono, credo proprio che non approvi un sentimento del genere.

E questo non fa che rafforzare la mia idea sulle religioni, che siano cioè un'emanazione umana del tutto imperfetta che abbia lo scopo di sfruttare e controllare più menti altrui possibile. Se poi a qualcuno piace essere controllato prego, faccia pure. Io passo la mano.

giovedì 21 aprile 2011

La mente divisa

Dopo otto mesi di lavoro a scuola la mattina, lavoro in un'altra scuola al pomeriggio, lavoro per un'associazione culturale, disegni per due libri d'Italiano per stranieri, una cooperativa, studio per l'università...
Ho la mente divisa e sono incapace di concentrarmi...
Passerà, vero?

sabato 16 aprile 2011