Pubblico questo mio brevissimo racconto anche se è ancora in corso di aggiustamento. Semmai vedrà la luce una sua versione riveduta e corretta, posterò anche quella. Grazie a Titta per il suo determinante contributo.
WILD & FREE
Like a true nature's child
We were born, born to be wild We can climb so high
I never wanna die Born to be wild Born to be wild
STEPPENWOLF, Born to be wild
You know the first time I traveled hard
Out in the rain and snow - In the rain and snow,
You know the first time I traveled hard
Out in the rain and snow - In the rain and snow,
I didn't have no payroll, Not even no place to go.
CANNED HEAT, On the road again
Non ho molto tempo. Mi hanno beccato e li sento, stanno arrivando a finire il lavoro. Non che faccia molta differenza a questo punto, con tutto il sangue che sto perdendo non sopravvivrei comunque più di qualche ora .
Non mi sono accorto di nulla fino a che non è stato troppo tardi…
Ero con gli altri, viaggiavamo in gruppo, più veloci che potevamo, stretti gli uni agli altri cercando di proteggerci a vicenda. All’improvviso un rumore sordo e una vampata rossa, neanche dolore. Ho visto i compagni allontanarsi e me stesso a terra in questo campo di tarassaci.
Subito i comandi dei nemici alle bestie infernali, i loro latrati sempre più vicini.
Nessuno tornerà indietro per me, sarebbe un suicidio collettivo. Lo so, lo capisco, è da quando siamo piccoli che ci spiegano come funziona ma in questo momento, scusate l’egoismo, lo trovo di una crudeltà e di una vigliaccheria intollerabili.
Dicono che in questi momenti ti passi tutta la vita davanti agli occhi: beh, a me non sta succedendo. Non riesco a credere che le interiora e la merda sparse a terra siano le mie, ecco a cosa penso. Ad ogni modo, dovessi avere un flashback della mia esistenza, di certo i momenti che ricorderei con più nostalgia sarebbero quelli dell’infanzia.
Eravamo in cinque, non facevamo che giocare…Mamma è stata la prima cosa di questo mondo che abbiamo visto. Era sempre vicina, ci sfamava, ci proteggeva, ci insegnava a muoverci, a nuotare, a procacciarci il cibo, a vivere insomma.
Il distacco non è stato particolarmente doloroso, eravamo pronti, un po’ l’agognavamo anche, l’emancipazione.
Poi i primi viaggi. Interminabili e faticosissimi. Tra mille pericoli e contro i predatori, dotati spesso di lingue di fuoco e denti d’acciaio che si andavano a conficcare nelle nostre carni indifese.
Fratelli e compagni caduti. Abbiamo sempre tirato dritto, più veloce di prima, spinti dalla paura e dall’istinto di sopravvivenza.
Ho vissuto troppo poco, cazzo. Possibile che nessuno di noi muoia per cause naturali, per vecchiaia, o per un indolore infarto notturno, in una grande casa, circondati da rumorosi nipotini, in un posto caldo, finalmente stabile, senza bisogno di spostarsi in continuazione?
E’ la catena alimentare, mi ha spiegato una volta una vecchia zia. Noi non stiamo messi bene, ma c’è chi sta peggio. Perlomeno noi siamo liberi, c’è chi passa l’intera esistenza in prigione, in celle così piccole e affollate che non c’è nemmeno lo spazio per allargare gli arti. Senza ora d’aria. Condannati a mangiare e cagare nello stesso punto. Tutta la vita. Che, certo, non è lunga. Ma nemmeno corta abbastanza.
Ne ho visti di questi campi di concentramento, nella mia vita . Cristo santo, non farmici finire mai, ho pregato ogni sera della mia vita. Beh, almeno in questo sono stato accontentato.
Questo e il senso impagabile di leggerezza, di libertà, di indipendenza. Aveva ragione la mia vecchia zia. Non esiste nulla al mondo che valga quanto un cielo aperto e due ali per solcarlo.
E’ finita, mi hanno trovato. Sento che mi afferrano penetrandomi le carni. Mi trasportano, avverto il loro alito fetido, il loro ansimare disumano. Non ho più forze. Mi lasciano ai loro padroni. Quelli mi sollevano in alto. Li sento parlare tra loro.
- Hey Jack, guarda qui! Non è il più grande figlio di puttana d’un fagiano che tu abbia mai visto?!?
Non mi sono accorto di nulla fino a che non è stato troppo tardi…
Ero con gli altri, viaggiavamo in gruppo, più veloci che potevamo, stretti gli uni agli altri cercando di proteggerci a vicenda. All’improvviso un rumore sordo e una vampata rossa, neanche dolore. Ho visto i compagni allontanarsi e me stesso a terra in questo campo di tarassaci.
Subito i comandi dei nemici alle bestie infernali, i loro latrati sempre più vicini.
Nessuno tornerà indietro per me, sarebbe un suicidio collettivo. Lo so, lo capisco, è da quando siamo piccoli che ci spiegano come funziona ma in questo momento, scusate l’egoismo, lo trovo di una crudeltà e di una vigliaccheria intollerabili.
Dicono che in questi momenti ti passi tutta la vita davanti agli occhi: beh, a me non sta succedendo. Non riesco a credere che le interiora e la merda sparse a terra siano le mie, ecco a cosa penso. Ad ogni modo, dovessi avere un flashback della mia esistenza, di certo i momenti che ricorderei con più nostalgia sarebbero quelli dell’infanzia.
Eravamo in cinque, non facevamo che giocare…Mamma è stata la prima cosa di questo mondo che abbiamo visto. Era sempre vicina, ci sfamava, ci proteggeva, ci insegnava a muoverci, a nuotare, a procacciarci il cibo, a vivere insomma.
Il distacco non è stato particolarmente doloroso, eravamo pronti, un po’ l’agognavamo anche, l’emancipazione.
Poi i primi viaggi. Interminabili e faticosissimi. Tra mille pericoli e contro i predatori, dotati spesso di lingue di fuoco e denti d’acciaio che si andavano a conficcare nelle nostre carni indifese.
Fratelli e compagni caduti. Abbiamo sempre tirato dritto, più veloce di prima, spinti dalla paura e dall’istinto di sopravvivenza.
Ho vissuto troppo poco, cazzo. Possibile che nessuno di noi muoia per cause naturali, per vecchiaia, o per un indolore infarto notturno, in una grande casa, circondati da rumorosi nipotini, in un posto caldo, finalmente stabile, senza bisogno di spostarsi in continuazione?
E’ la catena alimentare, mi ha spiegato una volta una vecchia zia. Noi non stiamo messi bene, ma c’è chi sta peggio. Perlomeno noi siamo liberi, c’è chi passa l’intera esistenza in prigione, in celle così piccole e affollate che non c’è nemmeno lo spazio per allargare gli arti. Senza ora d’aria. Condannati a mangiare e cagare nello stesso punto. Tutta la vita. Che, certo, non è lunga. Ma nemmeno corta abbastanza.
Ne ho visti di questi campi di concentramento, nella mia vita . Cristo santo, non farmici finire mai, ho pregato ogni sera della mia vita. Beh, almeno in questo sono stato accontentato.
Questo e il senso impagabile di leggerezza, di libertà, di indipendenza. Aveva ragione la mia vecchia zia. Non esiste nulla al mondo che valga quanto un cielo aperto e due ali per solcarlo.
E’ finita, mi hanno trovato. Sento che mi afferrano penetrandomi le carni. Mi trasportano, avverto il loro alito fetido, il loro ansimare disumano. Non ho più forze. Mi lasciano ai loro padroni. Quelli mi sollevano in alto. Li sento parlare tra loro.
- Hey Jack, guarda qui! Non è il più grande figlio di puttana d’un fagiano che tu abbia mai visto?!?
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